Il Gatto con gli Stivali: la recensione di Luca Ferrari

Sterili spruzzatine di Fight Club e corse solitarie alla Hidalgo per accattivarsi la simpatia dei più grandicelli. Voli fantasmagorici un po’ retro alla ricerca della fantasia di un tempo per meravigliare i più piccini, il tutto amalgamato da un 3D davvero all’altezza. Manca però il mordente. Il baco non si è trasformato in farfalla. La scalpitante promessa non ha saputo essere leader. Il Gatto con gli stivali è più una birba che non un felino tormentato dalle cicatrici delle sue nove vite. Esageratamente redento. Capace di perdonare con fin troppa docilità il doppio tradimento dell’amico fraterno Humpty Dumpty. Un buonismo “disneyanamente” sospetto, più mirato a rispettare le rigide regole del barboso mercato hollywoodiano dei finali, che non a dispensare sincere risate.

Fin dalla primissima uscita del secondo capitolo (2004) della saga di Shrek, la new-entry Gatto con gli stivali venne subito additato come uno dei principali artefici del successo della pellicola. Già allora s’iniziò a parlare del possibile spin-off. Il momento è alfine arrivato ma il risultato non è stato all’altezza delle aspettative. Se non si sapesse che c’è quel guascone di un Banderas dietro la voce del micio, farebbe ancor meno simpatia. Se non si avesse stampato nella memoria il ricordo indelebile dei suoi occhioni e le gag in compagnia dell’Orco verde e del logorroico asinello, passerebbe come un modesto film di animazione. Chris Miller, di nuovo alla regia per la DreamWorks dopo il deludente “Shrek terzo” (2007), nel suo nuovo film “Il gatto con gli stivali” (Puss in Boots, 2011), incarna alla perfezione il difetto principale del protagonista: non graffia. Nemmeno l’intrigante presenza femminile, Kitty zampe di velluto, riesce a portare quel brio necessario per dare una svolta (scossa) decisiva al ritmo della storia.

Cresciuti insieme in un orfanotrofio della cittadina di San Ricardo, Gatto e l’uovo Humpty Dumpty sono due reietti diventati amici inseparabili, capaci di guardare il mondo con la forza dei propri sogni e alla perenne ricerca di tre fagioli magici per impossessarsi dell’oca dalle uova d’oro. L’equilibrio però salta quando il gatto salva un’anziana da un toro che la sta per travolgere, trasformandosi così in un eroe agli occhi della comunità. Abbandonato il suo passato costellato da furtarelli, il felino diventa un paladino del bene, e viene premiato con cappello piumato e un paio di stivali che diventeranno il suo segno distintivo. Qualcuno però non è troppo contento di questa svolta. Humpty è geloso. Si sente messo da parte e medita vendetta. Le strade si dividono in malo modo fino a quando una misteriosa gattina nera non farà rincontrare i moderni Red e Toby. Lei è Kitty, cui presta la voce Salma Hayek, e il cui ingresso con annesso duello ballerino-spadaccino sotto mentite spoglie mascoline, pare ammiccare alla coppia “cruz-deppiana” Angelica-Jack Sparrow, del poco incisivo “Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare” (2011).

Ci prova il Gatto, tra occhiate da conquistador (poche), golose bevute di latte e gesta da eroe ambiguamente perfetto. L’atmosfera western iniziale si sfalda velocemente, lasciando presto spazio a una sceneggiatura poco convincente ed erroneamente decisa ad affidarsi quasi esclusivamente ai tre personaggi principali, non all’altezza dei riflettori. Si sente la mancanza dei pesi massimi Shrek e Ciuchino, così come di tutti quei grandiosi comprimari: Omino Pan di Zenzero, topi, vari, Fiona stessa. Quel “non è mai troppo tardi per fare la cosa giusta” è esasperatamente buonista per un personaggio che appena qualche anno fa debuttò nella dimensione DreamWorks, facendo sfaceli e senza cedere mai al lato “ruffiano”, ma regalando allegria, commozione e ironia. Oggi invece, quella tenera canaglia pelosa dai misteriosi natali è diventato uno scadente Principino Azzurro in cerca di consacrazione. Standing ovation invece la coppia di villain Jack e Jill, doppiati rispettivamente dal “babbo bastardo” Billy Bob Thorton e Amy Sedaris, già con Miller in “Shrek Terzo”, dietro l’ugola di Cenerentola. Con una buona sceneggiatura alle spalle, potrebbero fare sfaceli in una storia tutta loro.

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