Il matrimonio che vorrei: la recensione di Silvia Urban

Sveglia ore 7. Colazione con lettura del giornale. Ufficio. Ritorno a casa. Cena. TV sdraiato in poltrona. Letto.
È la routine che scandisce la vita di Arnold (Tommy Lee Jones), sposato da 31 anni con Kay (Meryl Streep), con la quale ormai divide solo il tetto sopra la testa: ognuno dorme nel suo letto, ognuno conduce la sua vita. L’amore non si fa più da anni e neppure le piccole effusioni sono contemplate. Un blocco che neanche il Dr. Feld (Steve Carell) – dal quale Kay trascina il marito – riesce a decifrare.

Il matrimonio che vorrei entra nel privato di una coppia che sembra aver rinunciato all’amore in favore di una convivenza consolatoria. Ne fotografa i silenzi e le azioni ripetute ogni giorno. Si fa testimone della freddezza di lui, e dell’insofferenza di lei, che non si rassegna e non vuole smettere di credere nella passione. Ascoltiamo le poche parole che ancora sono capaci di scambiarsi, assistiamo agli incontri con il terapeuta, ai timidi tentativi di provare a ristabilire un contatto fisico e all’imbarazzo che ne segue.
Il film procede lento, affidandosi interamente a una sceneggiatura efficace nella sua essenzialità: essenziali ma eloquenti sono infatti i dialoghi e i gesti di Kay e Arnold. Soprattutto, si affida alla bravura dei suoi interpreti. Se la mimica di Steve Carell (qui in un ruolo meno comico del solito) non ha eguali e il talento di Meryl Streep non ha più bisogno di lodi, meno scontato è quello di Tommy Lee Jones: il suo Arnold è un uomo burbero, imprigionato nella sua routine e da questa reso immune a qualsiasi sentimento o ambizione. Non è felice, ma si accontenta di quello che ha. Compresa una moglie che ormai è sempre più simile a una domestica. Ma che compie quel primo passo necessario per  affrontare il problema e salvare il matrimonio dall’apatia.

E tutto alla fine funziona. Il film funziona. Anche se la risoluzione del problema avviene in modo rapido e non completamente giustificato. Di fronte a un blocco fisico e sentimentale che pare irreversibile – e che i consigli e gli esercizi del Dr. Feld non riescono a sciogliere – basta la minaccia di Kay di andarsene (complici le note di Why: scelta funzionale quanto furba) a convincere Arnold a ricercare dentro di sé quel fuoco che 31 anni prima lo aveva spinto sull’altare.
Chi si aspetta una divertente commedia romantica, rimarrà un po’ deluso. Perché sì, siamo in territorio commedia, ma più dalle parti di È complicato che di Mamma Mia!. Con alcune sequenze anche molto serie e introspettive seppur bilanciate dalla simpatia dei protagonisti.
E sinceramente, all’interno di un film tanto calibrato, il finale sulla spiaggia (leggi: “finisce tutto a tarallucci e vino”) si poteva anche evitare.

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Mi piace
La bravura degli interpreti – soprattutto Tommy Lee Jones – e la sceneggiatura calibrata ed efficace.

Non mi piace
La rapidità con cui viene risolto il problema della coppia. E la scena finale: il film si poteva chiudere prima.

Consigliato a chi
Apprezza le commedie alla È complicato, dove si (sor)ride ma non mancano interessanti e intelligenti spunti di riflessione.

Voto: 3/5

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