Un bel brava a Francesca Archibugi il cui ultimo lavoro, “ll nome del figlio”, irrompe nelle sale cinematografiche cosi povere di commedie amare da potersi ritagliare fin troppo facilmente il giusto spazio.
La regista, già dietro la macchina da presa per “L’Albero delle Pere” e “Questioni di cuore” giusto per citarne un paio, rispolvera i salotti famigliari, teatri di mirabolanti evoluzioni circensi che scaldano l’atmosfera a suon di toccanti iniezioni di autenticità dove l’uomo lascia posto alla bestia che alberga dentro di se.
“Il nome del figlio”, remake della pellicola francese “Cena tra amici”, a sua volta trasposizione della piece teatrale Le Prénom, è un banchetto famelico dove i protagonisti sbranano senza troppo tatto la falsa facciata che l’impellente dovere morale ha tenuto a freno per tutta una vita. Fresco ricordo del fortunato “Carnage” di Polansky, il siparietto messo in scena dalla Archibugi si inserisce in modo impeccabile nell’attualità italiana, sfruttando cinicamente la bieca coscienza nostrana, nascondendo dietro a luoghi comuni, che siano Mussolini o Twitter, il lato oscuro, a tratti feroce, dell’introspezione umana.
Partendo da una piccola questione – il nome di un figlio appunto – la pellicola crescerà d’intensità in modo scostante, bilanciando egregiamente picchi di furiosa genuinità a fragili sbolliture perennemente cariche di un’elettricità tangibile. A mettere in pratica questo scenario ci pensa un cast eccellente dove i vari Papaleo, Lo Cascio, Golino, Gassman e Ramazzotti calcano in modo perfetto le commedianti figure sociali che spaziano dallo snob al privilegiato, fino al radical chic. In ballo ci sono questioni legate al passato, comune denominatore dal quale ripartono tutte le sfaccettature che danno linfa ad una sceneggiatura avvolgente. Tra cognomi ingombranti, segreti inconfessabili e opinioni distorte, l’evolversi della situazione metterà in evidenza una costruzione intelligente, pulita e calibrata dove l’eleganza della recitazione fungerà da catalizzatore totale.
Una pellicola così lontana e così vicina, megafono di un’attualità imbarazzante e raffinata. Dialoghi bellissimi, eccellente messa in scena, un lavoro di qualità che ricorda che le possibilità di un cinema adulto ci sono ancora.
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