Inferno: la recensione di ale5b

Peccare di innovazione non sempre è un male. Se una formula funziona, perché stravolgerla? Ron Howard ha le idee molto chiare nel dare alla luce “Inferno”, terza trasposizione delle avventure del Professor Langdon, brillante professore esperto di simbologia figlio della penna di Dan Brown, interpretato dal sempre apprezzabile Tom Hanks.
Calcando la mano sulla consueta action thriller, una corsa contro il tempo dove ogni indizio porta all’altro, Inferno non è né più, né meno, differente dai capitoli precedenti, cosa che se da una parte può far storcere il naso, dall’altra lo rende come sempre agevolmente fruibile e allegramente piacevole.

Il merito è di un dinamismo iniziale subito coinvolgente, con un Langdon catapultato misteriosamente in una Firenze bella e dannata, senza che sappia come e quando ci sia arrivato. Gli eventi precipitano sul protagonista mettendolo in gioco al pari dello spettatore, apparentemente disorientato e desideroso di risposte. Quello che è certo, è che un miliardario visionario (Ben Foster, The Program) vaneggia sulla possibilità di rilasciare un virus batterico che annienti metà della popolazione mondiale per preservarne la sopravvivenza futura.
La rocambolesca fuga dall’ospedale in cui è ricoverato in stato confusionale, lo strano legame con la dottoressa Brooks (Felicity Jones, la Teoria del tutto) e il ritrovamento di un misterioso oggetto in suo possesso, daranno inizio ad un susseguirsi di conseguenze che mano a mano andranno a ridisegnare le precedenti quarantotto ore di amnesia del protagonista. Il tutto mentre sulle sue tracce si presentano anche , minacciosamente, una donna armata e una squadra dell’OMS.

Spunti semplici eppure, come già detto, funzionali. Il ritmo è quasi sempre alto e la scelta di giocare con la fragilità del protagonista, continuamente affetto da allucinazioni apocalittiche, visioni infernali e flashback chiarificatori, è una piccola chicca che serve a smussare la proverbiale infallibilità di Langdon, ora più umano. L’intesa con l’altra protagonista, la Jones, funziona senza eccessive forzature ma i numerosi primi piani testimoniano la grande fiducia riposta nell’interpretazione. L’attenzione che Howard regala agli scorci di Firenze, poi, è quasi rispettosa, per quanto un paio di capitoli “artistici” del romanzo vengano liquidati in poche sequenze. A non fare impazzire, o meglio, dove non si è osato troppo, sono le caratterizzazioni dei personaggi di contorno, i cui repentini cambi di facciata non vanno più in là di una scelta scolastica poco brillante.

Ma Inferno non è un film da etichettare né per eccellenza, né per difetto. Consideriamolo piuttosto l’ennesimo capitolo delle avventure di un personaggio che fa di enigmi e arte il suo pane quotidiano. Non va in profondità su questioni teologiche ma preferisce abbandonarsi ad un genere thriller meno sofisticato ma più spettacolare. Un calcio di rigore a porta vuota.

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