Interstellar: la recensione di Barbara Monti

In un futuro prossimo, da qualche parte nel mondo occidentale, gli uomini sono ormai costretti a fare gli agricoltori per sopravvivere. Una terribile piaga si sta abbattendo sulla terra, distruggendo tutti i raccolti. Cooper, un ex atronauta vedovo e con due figli a carico, decide di partire in missione nello spazio per conto della Nasa. Lo scopo della missione è quello di trovare un altro pianeta abitabile e salvare così il futuro dell’umanità.
Dopo due anni dall’ultimo film (Il cavaliere oscuro – Il ritorno) Christopher Nolan compie il suo attesissimo ritorno con un kolossal fantascientifico, partendo da un soggetto di Kip Thorne, fisico che ha dato il suo contributo anche durante la lavorazione del film per le parti prettamente scientifiche. Nolan come sempre pensa e agisce in grande: definire Interstellar un semplice film di fantascienza sarebbe infatti riduttivo, sia per la complessità stilistica dell’opera che per le tematiche affrontate.
Il punto focale di quasi tutti i film di Nolan è il tempo, mai concepito come asse lineare sul quale si svolgono gli eventi, ma come intreccio e sovrapposizione di tantissimi tasselli. Interstellar non fa eccezione: il film si struttura infatti su diversi livelli spazio-temporali che vengono portati avanti contemporaneamente. Se da una parte abbiamo l’avventura di Cooper e la sua squadra nello spazio, dall’altra abbiamo sua figlia Murphy e la vita che continua a scorrere sulla Terra. Nolan riesce a trasmettere in maniera efficace il pathos di cui si carica ogni decisione che gli astronauti si trovano a prendere. Essi sono infatti costretti a ragionare in termini di tempo: un’azione che nella loro dimensione spazio-temporale si svolge in meno di un’ora, sulla terra comporta invece il trascorrere di anni. Ed è proprio questo aspetto che ci riporta al vero fulcro del film: l’essere umano ed i suoi sentimenti.
Le complesse teorie fisiche e matematiche raccontate nell’arco del film, i calcoli e le lunghissime formule, fanno solo da sfondo a quello che il regista vuole veramente mostrare: l’universo interiore dei personaggi. Ad un viaggio esteriore tra buchi neri e nuovi pianeti, ne corrisponde in parallelo uno assai più importante, quello interiore, come ci conferma Anne Hathaway affermando che: “L’amore è l’unica cosa che trascende tempo e spazio.” L’emotività dei personaggi, il tormento che li attanaglia, sono palpabili grazie agli ottimi interpreti: Matthew McConaughey, Jessica Chastain e Anne Hathaway su tutti.
L’eccessivo dilungarsi in alcuni punti del film (ad esempio la parte con Matt Damon, abbastanza inutile) fanno sì che lo spettatore venga poi sovraccaricato di troppe rivelazioni in pochissimo tempo. Si ha come l’impressione che, cercando di dare tutte le risposte, alcuni passaggi della storia risultino un po’ forzati. Tuttavia, è innegabile come gli ultimi trenta minuti del film, un concentrato di Nolan allo stato puro, siano di grande impatto. Trasportando sul grande schermo le sue peripezie architettoniche spazio-temporali Nolan, ancora una volta, riesce a stupire ed affascinare lo spettatore.

© RIPRODUZIONE RISERVATA