Into the Wild – Nelle terre selvagge: la recensione di Elisa

“Happiness real only when shared”: una lettura di Into the wild attraverso l’esperienza di About a boy

L’altro giorno mi è capitato di rivedere casualmente About a boy (2002). Ho così avuto modo di riscoprire un film che anche a distanza di anni non perde brio, acutezza e intelligenza, come dimostra il ritmo ben cadenzato dato dal montaggio, l’armonia di questo con la colonna sonora e le battute finemente ironiche. Il risultato è un film dosato ed equilibrato, un’ottima prova di cinema che non può non suscitare paragoni e riflessioni.

Confrontando innanzitutto il finale di About a boy con quello di Into the wild (2007), il messaggio conclusivo non pare essere tanto dissimile nonostante la diversa natura dei due film. Se in About a boy si giunge alla conclusione che “Nessun uomo è un’isola”, nel caso di Into the wild si afferma che “La felicità è reale solo se condivisa” [“Happiness only real when shared”]. In sostanza la felicità si concretizza proprio nel rapporto con l’Altro a conferma di quanto già Aristotele afferma in merito all’inscindibile legame tra uomo e società: “L’uomo è per natura un essere sociale e chi vive escluso dalla comunità è malvagio o è superiore all’uomo […] ”[Politica, 1252a].

Se consideriamo poi i due ragazzi protagonisti dei film, si nota in entrambi la presenza del tema della solitudine, ma declinata come aspirazione in Into the wild e come condizione non voluta in About a boy. Nel primo caso Christopher McCandless, detto Alexander Supertramp, manifesta un radicale rifiuto nei confronti della propria vita agiata, avvertita non come un privilegio ma come fonte di ipocrisia e falsità. Così il personaggio interpretato da Emil Hirsch intraprende un viaggio alla ricerca di una condizione di vita autentica – e ci troviamo qui assai vicini a quanto teorizzato da Henry David Thoreau nelle sue opere (una tra tutte Walden, 1854) – pensata come possibile nel lato più oscuro, selvaggio ed incontaminato della natura, lontano dalle mistificazioni della società contemporanea. Si tratta dunque di una scelta volontaria che pone il protagonista in una condizione di estraneità rispetto all’umano, di ricerca di un’armonia esistenziale con la natura e, per esteso, col cosmo, in un viaggio che ha il respiro del percorso di formazione e l’obiettivo di trovare se stessi e il proprio ruolo nel mondo.

La condizione di emarginazione rispetto al contesto sociale conformista comunemente condiviso è presente anche nella figura di Marcus (Nicholas Hoult), giovane protagonista di About a boy. C’è da dire però che, se l’estraneità e la diversità risultano essere una scelta voluta per Supertramp, nel caso di Marcus essa si insedia al contrario nella quotidianità del ragazzino che si fa espressione non di se stesso, ma della singolare e problematica natura della madre con lo scopo di esorcizzare la fragilità di quest’ultima. Fiona, il personaggio interpretato da Toni Collette, è infatti una figura insicura, instabile psicologicamente e con tendenze suicide, una difficile condizione resa tuttavia a livello attoriale con sapiente equilibrio, al fine non di turbare ciecamente lo spettatore, bensì di fargli prendere coscienza della complessità di una storia di inversione di ruoli, che vede singolarmente un ragazzino di 12 anni prendersi cura di una fragile figura adulta. Dal canto suo Fiona, reclinata su di sé e sui propri problemi esistenziali, non vede il disagio di Marcus, affrontato peraltro con esemplare maturità dal ragazzino, che paradossalmente si sente più capito dal superficiale Will (Hugh Grant), uomo cinico ed egoista nonché ricco single londinese perché beneficiario dei diritti d’autore di una singolare canzone di Natale scritta tempo addietro dal padre. Sarà proprio Will a fare capire a Fiona che è lei a mandare suo figlio “in giro come carne da macello”, cioè come facile preda delle angherie e delle cattiverie dei compagni di scuola, e che Marcus, per paura di perdere la madre, non esprime se stesso, ma piuttosto quello che Fiona vorrebbe che esprimesse o vorrebbe forse esprimere lei stessa. Alla fine ognuno recupererà il proprio ruolo: Will capirà che un’esistenza “da isola” apparentemente soddisfacente è in realtà il fantasma di un’esistenza vuota; Fiona ritornerà nelle proprie vesti di madre e Marcus in quelle di figlio e adolescente senza abdicare alla propria acuta intelligenza e sensibilità, caratteristiche che lo distinguono dalla maggior parte dei suoi coetanei ma che sono al contempo doti preziose, perché espressione autentica della propria natura.

Marcus arriva alla conclusione che per essere felici non basta essere in due, ma bisogna essere in tanti; allo stesso modo Supertramp comprende in punto di morte che l’essenza della felicità è il suo non essere disgiunta dalla nozione di condivisione. Il destino beffardo farà in modo che Supertramp trovi la felicità in ciò da cui si era impegnato a fuggire per anni e di cui si troverà privo proprio in punto di morte: un contatto umano. Ovvero, quello che il protagonista di Into the wild si ostina a fuggire e che Marcus, al contrario, non dispera mai di ricercare per la madre, per Will e per se stesso. Se Christopher McCandless manifesta la propria risoluta sfiducia nella società come fonte di felicità, Marcus propone al contrario un’incrollabile fiducia nel genere umano e nella forza positiva dei legami tra persone.

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