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Into the Woods: la recensione di loland10

Into the Woods: la recensione di loland10

“Into the Woods” (id., 2014) è il quinto lungometraggio del regista e coreografo statunitense del Wisconsin Rob Marshall.
Quando il cinema si appropria della favola in senso totale per ricucinarla, rimescolarla e spalmarla per la farla piacere proprio a tutti, rischia grosso. E molto. Il film di Rob Marshall ne è la dimostrazione di come si possa fare (e non fare), un pasticcio immaginifico o un piccolo escursus di fattura poco convincente. Il troppo incastro, favoleggiando oltre il dovuto, riesce a malapena ad essere fruibile ed ogni aggiunta nella mezzora finale pare troppa e fintanto artefatta (in tutti i sensi) per convincerci che tutto si può. E così il (ballo) musical alla fine azzoppa le buone intenzioni registiche nonostante il calibro (da novanta) di una certa Meryl Streep. Il glamour (oniricamente fluente e spettrale) rinvigorisce uno schema sapiente di un incastro pregresso e fintamente schizzo-so in allegria musicata per un finale plaudente. Ma il calibro ‘filmico’ resta in attesa e per ceri versi lontano dalla grandezza che si vorrebbe (tutto in alchimia satura) come da un fantasioso mondo misurato sullo stile Disney (produzione e non solo). E’ un film carinamente imperfetto e stupidamente armonico: non resta che rileggersi (separatamente) ogni storia e favola di partenza. L’esagerazione di metterci tutto e di incontrarsi in tutti è appetitosa ma frana appena il gioco di tutti è lampante: adesso cosa succede? Il film ci mette tutto per piacersi ma il pubblico che guarda si diverte poco tanto che all’uscita (dopo centoventilunghissimiminuti) una ragazza sbotta: ‘basta!’. Appunto basta e quando si reagisce così il vezzo goliardico è già finito da un pezzo. Laureato musical dopo ‘Chicago’ forse il coreografo (in se) Rob si lascia andare oltre (molto oltre) il dovuto.

Basato sull’omonimo musical di Stephen Sondheim (commediografo di fama e pluri-premiato) il film prende ispirazione da fiabe conosciutissime (‘Cenerentola’, Cappuccetto Rosso’, ‘Raperonzolo’, ‘Jack e la pianta dei fagioli’) con l’alternarsi dei vari personaggi e combinazioni, ora spiritose, ora soporifere e ora (in dirittura d’arrivo) alquanto forzate. Il bosco come metafora del tutto e di tutto con incontri, storie, faccende, scambi e ardimenti giocosi: tutto in un trambusto musicale (con sottotitoli in italiano) e un’ambientazione didascalicamente ‘perfettina’ come se ogni sogno è vero (con aiuti grafici di cui la Disney non disdegna). E di chi, e non solo da chi, lascia il sogno dentro ecco arrivare il sunto finale con scritte e voci fuori campo sul racconto, la fiaba e di ciò che puoi donare e sognare. ‘I sogni sono desideri di felicità’: attenzione però (avvertono in coro alla fine) a quello che desideri e quanto vuoi vederlo realizzato. Possono avverarsi brutte cose e possono scontrarsi gli spiriti malefici che chiedono favori senza mai lasciarti solo.

E il bel matrimonio tra il Principe di Raperonzolo e Rapunzel (quando manca molto alla baraonda finale) si ferma sul più bello. La Torre del Castello (fatato) crolla e un ‘terremoto’ fa smuovere tutto il racconto nel film: in realtà arriva il ‘mostro’ della situazione (la ‘mostra’) cioè la ‘Gigantessa’ uscita fuori dopo che il ragazzo Jack aveva tagliato la ‘grande pianta’ di fagiolo per riappropriarsi del suo da fare e voler ricomprare la ‘mucca bianca’ mentre tutti si incontrano tra un neonato voluto, il fornaio in escandescenza, la moglie senza paura, e i colori che si incrociano tutti per avverare ciò che si desidera: il rosso mantello, il bianco mucca, il capello grano e l’oro scarpetta. Tutti mescolati per avere il latte dalla mucca (‘stupido è una femmina…i maschi non danno il latte’ così la mamma odiosa rimprovera il figlio sognatore) e riunire in un gioco unico tutti i ‘commensali’ di una favola perenne tra streghe, principi, dame, lupi, bambini, nonne, gigantesse, voci fuori campo, sguatteri e allegre voci armoniose. Forse troppo e in grande miscuglio in districabile.

Usciamo dal bosco per uscire dall’incubo-sogno e di fretta andiamo via senza accorgerci che è il bosco che segue e insegue: con lentezza e circolo vizioso non se ne esce fuori e da qui (quasi per far capire allo spettatore che da adesso in poi succede l’inverosimile eccesso del troppo) arriva il tourbillon finale con cori, musiche, scontri e morali varie (per chi ha voglia di sentire la voce narrante che alla lunga risulta fastidio setta). E il film del tutto rapporto alla realtà con stravaganze e incastri a iosa. Tutto si può nella scrittura (a teatro) ma il film stanca (o almeno non emoziona più di tanto) e non riesce (per chi scrive) a dare il vero gusto del musical (avvolgente). Rob Maeshall ritenta il colpo alla ‘Chicago’ (sopravvalutato?) ma lascia molte possibilità lungo i sentieri (puzzle) del bosco-sognante. Domanda banale: è un film per bambini o per adulti? Dei presenti in sala (bambini) non ho sentito entusiasmo: qualcuno più in là di posto (pochi anni) sì annoiava (si vedeva e si sentiva) e altro fetta buona ha lasciato immediatamente la sala finito il buio. Impressioni? Può darsi. Una sufficienza di premio.

La ‘strega’ Meryl Streep vince a ‘mani basse’ con Johnny Depp (‘lupo cattivo’) che si vede poco (purtroppo), Chris Pine (‘il principe di Cenerentola’) che espande il belloccio, Billy Magnussen (‘il principe di Rapunzel’) che gioca al più bello, Anna Kendrick (‘Cenerentola’) che lascia la ‘compagnia-twilight’, Lucy Punch (‘Lucinda’) che da ‘Cinderella’ in tv aveva già sognato e via via gli altri, molti altri.

Voto: 6.

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