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Jane Eyre: la recensione di Stefano Pariani

Jane Eyre: la recensione di Stefano Pariani

Dal classico della letteratura ottocentesca di Charlotte Bronte, ecco una nuova versione di “Jane Eyre”. Avevamo ancora nella memoria il film di Zeffirelli del 1995 con William Hurt e Charlotte Gainsburg, perfetti nei ruoli della fiera e pura Jane e del burbero signor Rochester e forse non si sentiva il bisogno di un nuovo adattamento. Ma la storia dell’orfana cresciuta in un rigido orfanotrofio che s’innamora del padrone del castello dove lavora come istitutrice piace sempre ed è bello lasciarsi andare agli slanci della passione romantica di cui il romanzo è pervaso. Per fortuna non si tratta di una fotocopia del lavoro di Zeffirelli: ridotte al minimo le sequenze dell’infanzia di Jane in orfanotrofio, richiamate solo in brevi flashback, la pellicola si concentra sulla personalità della giovane, lunare creatura di poche parole, sensibile e intelligente, che prova, con gioia e smarrimento assieme, i primi turbamenti amorosi. Di lei, così lontana dalle convenzioni e dalle ipocrisie borghesi, s’innamora Rochester, pur consapevole degli ostacoli che s’interporranno al loro amore. La diafana Mia Wasikowska dipinge una credibile Jane, in apparenza meno incisiva della Gainsburg, ma notevole per il lavoro introspettivo svolto sul personaggio, fatto di silenzi e intensi sguardi, mentre Michael Fassbender conferisce al ruvido Rochester lampi di seduzione e sensualità. Bella la fotografia che, tra nebbiose brighiere, tortuosi sentieri tra i boschi e oscure stanze, accentua le atmosfere dark della sceneggiatura. C’è anche in un piccolo ruolo la nostra Valentina Cervi.

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