Dopo dieci anni trascorsi negli Stati Uniti Jimmy Granton fa ritorno al suo paese natale, l’Irlanda. È il 1932 e tante cose sono cambiate: i contrasti con l’Inghilterra e la guerra civile hanno reso la vita per le persone nella contea di Leitrim non facile. Non c’è lavoro, i giovani non hanno niente da fare, i proprietari terrieri e la Chiesa hanno il pieno controllo.
Sono proprio i giovani a chiedere a Jimmy di riaprire la sala da ballo che dieci anni prima era stato costretto a chiudere, tacciato di comunismo. Purtroppo, anche questa volta, Jimmy sarà fortemente ostacolato.
Ken Loach, a distanza di sei anni da “Il vento che accarezza l’erba”, fa ritorno nelle verdi lande irlandesi, ed è decisamente a suo agio con le tematiche affrontate. “Jimmy’s Hall” è tratto da una pièce teatrale di Donal O’Kelly, a sua volta ispiratosi a fatti storici, ed è un film che racconta di persone semplici, legate profondamente alla terra, che lottano per un futuro migliore. Loach, figlio di operai e sostenitore dell’ideologia socialista, riesce a rappresentare i personaggi della storia con una straordinaria intensità.
Emerge un ritratto impietoso della Chiesa Cattolica che, con il pretesto di condannare presunti balli “peccaminosi”, si accanisce contro Jimmy e la sua sala. Una sala che non è altro che un vero e proprio centro sociale, uno spazio di condivisione di idee e conoscenze. Ed è proprio la mancanza di controllo su queste idee ad essere intollerabile per il potere ecclesiastico.
Questo bisogno di socialità, fortemente sentito dagli abitanti della contea, si scontra con i sermoni che molti di questi stessi abitanti ascoltano la domenica in chiesa. Accusato dai preti di essere il demonio in persona, Jimmy Granton (realmente esistito) viene progressivamente ostracizzato, con il supporto dei reazionari latifondisti. Impossibile non infuriarsi di fronte ad una palese strumentalizzazione della religione, condotta da uomini gretti che si ergono a supremi moralizzatori, quando il loro unico scopo è assoggettare il popolo ai propri voleri.
Alcuni dei momenti più toccanti del film sono sicuramente quelli che ritraggono il protagonista, interpretato dall’attore irlandese Barry Ward, insieme al suo amore mancato, interpretato da Simone Kirby, irlandese anche lei. Loach porta sullo schermo in maniera vivida il dolore ed il trasporto reciproco dei due personaggi, separati dalla vita ma uniti da un legame profondissimo. Sequenze estremamente passionali che non hanno bisogno di mostrare nulla di più di due corpi che si sfiorano danzando, due mani che si afferrano per un momento che dura tutta una vita.
Le bellissime sequenze corali di ballo sono accompagnate da una colonna sonora coinvolgente. È soprattutto in questi momenti ad emergere la pura gioia dello stare insieme, che non ha nulla a che vedere con la politica o la religione. Una gioia che viene spezzata con violenza da un potere avido e ottuso che, come afferma il protagonista rivolgendosi al prete, “ha nel cuore più odio che amore”.
Il film di Loach costituisce uno spunto di riflessione sulle tante forme di soprusi dei più forti sui più deboli, che tuttora continuano a perpetrarsi nel mondo. Del resto, come affermava Karl Marx – più volte citato durante il film: “L’ideologia dominante è sempre stata l’ideologia della classe dominante”.