Joker – Wild Card: la recensione di Mauro Lanari

Statham ha nell’action un seguito di pubblico paragonabile a Chuck Norris: fotogenia rozz’e tamarra, fisico normale (ambedue 178 cm), assai meno loquace poiché ciò dovrebb’infondergl’un’aura english. Stop. Lanciato nel ruolo da protagonista in “The Transporter” del 2002 su produzion’e script di Besson, quel film si distingueva per una straordinari’inventiva antipulp, ironica e pirotecnica. Poi Statham è entrato nel filone mainstream dei revenge ultraviolenti, del dur’implacabile sempr’imbrattato del sangu’altrui e sempr’illeso nell’immancabile carneficina di turno. Poche volte ha cercato parti di stampo e tenore diversi, com’ultimamente in “Spy”. “Joker – Wild Card” è il remake di “Black Jack” (1986), tratto dal romanzo “Heat” del due volte premi’Oscar William Goldman che ha pure firmato la sceneggiatura d’entrambi gl’adattamenti, disprezzato dalla critica e ignorato dal pubblico sia all’epoca sia oggi. Girato da Simon West subentrato a Brian De Palma e nonostant’il “passion project” dell’attore, che ha iniziato a lavorarci circa cinque anni prima dell’uscita, flop al botteghino (1,6 milioni di dollari per un budget di 30), 27% su RT (media voto 4.8/10), 5,6 su IMDb. Nulla di sconvolgente. Al contrario, sbalordisce quand’un film con lui ottiene risultati migliori. Cose da Bud Spencer e Terence Hill tarantinizzati, stavolt’appesantite da ralenti e scen’immaginarie di speranza o torment’interiore mess’a casaccio.

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