L’altra verità: la recensione di Valentina Torlaschi

Per Ken Loach ogni film è un’arma con cui combattere le ingiustizie di “questo mondo libero”. Il suo è un cinema civile, a tratti ideologico, che vuole radiografare le contraddizione della nostra società contemporanea. Così, anche quando i toni si sono fatti più leggeri –  si veda Il mio amico Eric – le sue immagini erano, sempre e comunque, impregnate di critica sociale.
L’altra verità
– presentato allo scorso Festival di Cannes – s’inserisce in questo percorso di cinema (e di vita). Qui la denuncia è rivolta alla guerra in Iraq e la figura chiave per interpretare questo conflitto sempre più anarchico e monetizzato è quella dei contractor. Soldati privati, si definiscono loro; mercenari, li chiamano gli iracheni. In Inghilterra, è una “moda” diffusa: per 10.000 sterline al mese pulite pulite, questi uomini armati fino ai denti e forti di una totale immunità, devono scortare giornalisti, volontari, medici. Ma essere contractor è soprattutto un modo per guadagnare un mucchio di soldi in breve tempo. Tale era anche l’obiettivo di Fergus e Frankie, sennonché quest’ultimo muore in circostanze misteriose. Tornato a Liverpool, Fergus decide di indagare sull’accaduto, e per arrivare alla verità non lesina in metodi brutali.
Affiancato dallo storico sceneggiatore Paul Laverty, Ken Loach descrive con lucidità e passione le contraddizioni di un conflitto che si è ormai trasformato, da un alto, in un enorme business privato e, dall’altro, in un selvaggio Far West. Ma soprattutto il film indaga il dilemma interiore del protagonista combattuto tra la ricerca di giustizia e la sete di vendetta. Perché, come sempre, nessuno dei personaggi di Loach è mai completamente colpevole e mai totalmente innocente. In questo film, tuttavia, il regista indugia un po’ troppo su violenze, torture ed esplosioni, sfiorando una certa retorica pacifista e il rischio di un film a tesi (con l’Occidente colpevole di ogni male). Non il film di Loach più riuscito, insomma, ma comunque un altro tassello significativo della sua cinematografia militante. E sempre un’occasione per conoscere un’altra verità rispetto a quella che quotidianamente ci propone l’industria mediatica.

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Mi piace
La descrizione lucida e passionale delle contraddizioni del conflitto iracheno, sempre più anarchico e privatizzato. E poi l’interpretazione dei due attori protagonisti che Loach ha saputo dirigere con intensità e poesia.

Non mi piace
Il regista indugia un po’ troppo su violenze, torture ed esplosioni, sfiorando l’eccesso di retorica e il rischio del film a tesi (con l’Occidente colpevole di ogni male).

Consigliato a chi
A chi ama il crudo realismo di Ken Loach e a chi è sempre alla ricerca di altre verità.

Voto: 3/5

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