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La paranza dei bambini: la recensione di loland10

La paranza dei bambini: la recensione di loland10

“La paranza dei bambini” (2019) è il quarto lungometraggio del regista romano Claudio Giovannesi.
Fresco premio alla sceneggiatura al ‘Festival di Berlino’, il film ha un suo vigore narrativo e un suo aggrovigliamento facciale nei volti candidi-virgulti di adolescenti adulti.
La custodia di un cinema sociale e di pensiero, di indagine e, allo stesso tempo, di ampio respiro per festival immaginando anche un pubblico. In questi casi gli incassi sono veramente di nicchia per una pellicola che promette volti e viuzze, schemi e pistole come si conviene. Una storia che alla fine appare ordinaria, risaputa, nonostante la lettura a soggetto ( tratto dal libro omonimo di Saviane) e le riprese attaccate, quasi schiacciate in alcuni casi (alla Dardenne…ma i fratelli belgi sono ben altra cosa) sui volti amorosi e sputa-fuori di adolescenti in prima fila per accaparrarsi il potere ‘sporco soldi-droga’ della città partenopea gestita da clan contrapposti.
Ecco i volti, ecco gli sguardi, ecco il cambio delle prospettive, ecco gli incroci, ecco le sentenze con i grandi, ecco il fuoco della vita ed ecco le spavalderie per un tavolo in prima fila.
Paranza come destino finale dove l’assedio in parata, da venire, è pronto nella testa di tutti come del capo-bambino. Una schiera di ali sopra motorini, senza casco, con baldanza trucida, con focosita’ impertinente, idiozie di potere e magnificenze da tavoli in prima fila. L’apparenza di ragazzini in foga diventa reale con le armi in pugno e la tv-lista serial diventa anteprima per altre da venire. Non proprio un prodotto nuovo e degno di schemi originali, solo la sembianza, non retorica, quasi teatrante in farsa, di una gioventù senza barca vera e remi da caricare. Ecco che i fuochi d’artificio per la festa di popolo diventa il paradigma di esercitazione complementare di un sogno reale. Entusiasmo indecente e sguardi dentro il nemico stesso. Scorsesiano nelle intenzioni alquanto moscio negli astrali gigioneschi di ragazzi contornati da cifre da capogiro dove acquisto e godimento non si differenziano. Tutto normale anche quando la mamma abbraccia il figlio pieno di bigliettoni, con le armi e il destino avverso.
Manca uno stile o lo stile è la summa di ‘beltà’ autoriali, manca il distacco vero per inquadrare il vero, manca la dinastia dell’oggi per chiamare i ragazzi di ieri? Le morti come le speranze ignote. Difficile rispondere e difficile capire il cinema pieno di ignoti volti veri. Una città assediata a se stessa o è solo l’inizio iperbolico di un mondo che si decostruisce da solo? Rio Sanità di Napoli è il centro del potere facile e dei fiumi di denaro a fasci. Senza portafogli e con ostentazione a bevute doppie e a donne facili in tutto.
Nicola, Tyson, Biscottino, O Russ, Lillipop, Limone in abbracci, feste e fuoco, la madre che non vuole più pagare e avere la casa in lusso, Don Vittorio che gioca in casa, Agostino Striano che vuole ricominciare; poi i marchi usuali che addobbano corpi e piedi. Il denaro non spaventa più nessuno. Dove si trova, si trova…
Quindi soldi, armi, donne di giro, capi, porte blindate, mercatini rionali, affacci da padrino e litigi da bambini per una colazione o una partita a pallone senza campo. Una maglietta nuova, pulita acquistata con i soldi che servono, dal segno al sogno per i nuovi corrotti che adagio, adagio salgono la china e con lo sguardo sciorinano la loro forza nel rione che conta.
Da giocattoli, ad acquisto di giochi e di armi giocattolo, da sparare per divertirsi e puntare per intimorire fino a pallottole di carica. Che bello devo lavorare. È il sangue come la morte arriva senza attesa.
La paranza è uno schema senza sosta. Tra virtuosismi, dal teatro a Napoli al teatrino in posa, da casa sua, per osservare e farsi salutare. Prendere il latte con i biscotti con in testa il potere della città. Rosi modenista ecco che il regista calca lo sguardo sui volti che cambiano e incupiscono il loro destino aperto a tutto e tutti.
Dalla cameretta ai vicoli, da dietro alle richieste, dal sottopalco al palco, dalla finestra all’affaccio, dal visto agli abbracci, dal riso di scherno agli spari di fuori. Dal motorino solitario alla schiera ammaliante di un potere senza sapere oltre.
Attori con volti riconoscibili con un plauso a Francesco Di Napoli (Nicola) che sembra tenere il film con una certa facilità (sempre in parte); si ricorda la presenza di Renato Carpentieri (Don Vittorio). Fotografia di Daniele Ciprì che disegna una Napoli oscura, sbiadita e notturna.
Regia addosso e plastificata sui volti inermi e sbarbati.
Voto: 6½/10 (***).

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