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La pazza gioia: la recensione di loland10

La pazza gioia: la recensione di loland10

“La pazza gioia” (2016) è il dodicesimo lungometraggio del regista toscano Paolo Virzì.

“Abbiamo affittato la casa al cinema italiano….”. Tu pensa come siamo messi…
E sì, avere il giardino della villa alla mercé della finzione e il suolo occupato dal set è un qualcosa di improponibile per la bassezza dei mondi e la cultura che non innalza la famiglia.
“Fa del cinema”… Pensa un po’ te come siamo ridotti, una figlia che si da a simili sconcezze … Una pena indicibile dover ammettere che la figlia ‘fuori di testa’ si è data al cinema.. Una Lancia rossa fiammante è lì ad aspettare mentre lo stop è arrivato loro fuggono verso un ‘sorpasso’ al contrario per prendere in contropiede la ‘vera’ commedia all’italiana e il ‘boom’ acido di risiana memoria.
Ciò che può essere coinvolgente è lo spirito libero che è in noi (meglio loro): le due donne ‘libere’ di Villa Biondi e di tale istituto terapeutico si sentono di troppo si scontrano e si incontrano per una vacanza fuori dall’ordinario e su di giri: un plastico in corsa e in voce, una scala musicale tra litigi e toscana-tour. Una storia di provincialismo da esportare dove il gusto della battuta riecheggia nello spirito di un cinema d’autore (e sì adesso è da dire ad alta voce…quello che fu fatto ad opera d’arte in una commedia amarissima dentro e fuori) che vuole rinverdire il gusto di un passato (tra leggi manicomiali, rotture divorzianti e clausole legislative oramai perse).

Precipitosamente incaute e fuori di testa (in tutti i sensi), Beatrice e Donatella si guardano senza conoscersi, si vedono senza limarsi, si arrabbiano senza discorsi, si assommano senza plurali con numerazione afona e incerta, acuta e spudorata. E’ un linguaggio che si tenta in un cinema di contrasti già lineare in un primo quadro d’assieme mentre il ‘toscano-provinciale’ come ‘comunque-movimento’ stempera il gioco dei contrasti in quadretti deliziosi ma mai interagenti e succosi.
Arriva il duetto di contrasti e le donne in stato positivo con una corsa non lineare senza vere mete per cercare quello che non hanno o meglio un sorriso fittizio per poche ore da ‘leonesse’ senza gabbia.;
Zonzo come andare a scavare il gusto acerbo e sempre in voga dei nostri difetti dietro il duo femminile e le loro improbabili alchimie di vita in fuga; la loro è una passione inespressa tra il vociare continuo di Beatrice e gli scatti fragili di Donatella. Un duo opposto di disagi che non possono essere complementari, donne senza terreno, marito e figlio adottato. Una voglia di caricare la vita in fuga come un peregrinare interiore per arrovellare l’istinto di un cuore desunto da ogni improba sofferenza.
Zigzagando la terra cara al regista, con sceneggiatura amica della Archibugi, il film dipana tutti i lati oscuri fino ad un peregrinare nelle strade notturne di Viareggio dove un corpo a terra fa rialzare la storia per un finale dilatato in agrodolce. Senza nulla togliere al film le varie fasi appaiono diversificate: si arriva sempre al mare per uno sguardo verso un figlio che ancora non si conosce. La mente sgorga l’istinto di una madre per un bagno che ridesta l’animo.
Alla finestra Beatrice attende mentre Dontalla passa il cancello della Villa. Un segno di lontananza, un segno di contrasti in un unico circondario.

Come non pensare alle ‘libere donne di Magliano’ di un viareggino come Mario Tobino che della psichiatria si occupava e di rapporti umani descriveva. Oltre il destino, oltre lo sguardo di ognuno di loro.
Paolo Virzì compie un quadro positivo dell’intera storia, appare troppo cercare le deviazione e la compattezza disunisce il rapporto delle due donne come alcuni incontri casuali.
Il lavoro artigianale è a tratti esaltante molto meno l’essenza delle cose da dire.
Regia misurata e a misura delle due attrici (Bruni Tedeschi è veramente senza freni).
Voto: 6½/10 (senza fare nomi ma alcuni voti a dismisura sanno solo di mesto provincialismo).

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