La solita commedia – Inferno: la recensione di Mauro Lanari

I due vj d’MTV non erano una coppia d’idiot’intrinseci, avevano solo bisogno d’individuare bersagli di spessore contro cui scagliare il loro sarcasmo feroce, violento, brutale. E l’hanno trovati: tutto ciò che sta “in Cielo com’in Terra”. Si son pres’a modello il canovaccio del nasuto fiorentino trecentesco e l’hann’aggiornato non risparmiando nient’e nessuno. In primis lo stesso bigottissimo Dante, colui che vien’usato dal sistema sociodiseducativo per inculcare la dottrina cristiana, quel Poeta così “Sommo” da deliziarsi con l’atroce spettacolo di tortur’e atrocità lungo una cantica intera ottenut’applicando la “lex talionis” mosaic’all'”Etica Nicomachea” d’Aristotel’e al “De coelesti hierarchia” del 5° secolo. Biggio e Mandelli lo prendono di mir’applicando la legge del contrappasso proprio a lui, ed era una vendetta ch’attendeva d’essere compiuta da 7 secoli. Dopodiché l’invettiva all’acido molecolare colpisce a più non posso: Trinità, Maria, santi, un sacrilegio tant’empio che ridicolizz’i Monty Python o il Kevin Smith di “Dogma” (1999). La nuova casistica dell’antropologia negativa della vita quotidiana è sbalorditiva per originalità e per sostegno dell’idea d’invarianza: gl’orror’odierni sono sempr’uguali però sotto sembianze diverse, e il trasformismo dei protagonisti com’il citazionismo da Kafka a “Trainspotting” svolge questa funzione di sottolinear’il tema rispett’ai cambiamenti. Blatt’eravamo e siamo rimasti, drogati eravamo e siamo ancor’adesso. La struttur’a gag/sketch sarebbe potuta continuar’all’infinito, ci si ferm’al 5° girone ma la classificazione dello schif’umano secondo criteri tassonomici da confessore medievale poteva protrarsi per decine d’ore, sia nell’analitica dal basso che in quella dall’alto (cfr. la scena nell’epilogo della lobby massonica oligoplutocratica). Non c’è confronto che regga, dal Risi de “I mostri” (1963) sino al Pif de “La mafia uccide solo d’estate” (2013), tanto rigurgitant’innocua correttezza da esser stato premiat’a ogn’angolo della Penisola. Qui, invece, non si ride né si piange: si resta basiti dall’efferatezza del male perpetrat’e patito giorno dopo giorno, turpiloquio compreso (“La grande bruttezza” dovev’includer’anch’il linguaggio). “Non c’è bisogno d’un Infern’ultraterreno, bast’e avanza l’esistenza mondana”: un concetto ch’era scomparso con Bresson, Pialat, Tavernier, il Van Sant d'”Elephant” (2003). Il film ha schifato quasi tutti? Vuol dire che ha colpito nel segno, mettendo sulla difensiva le masse di psicotic’escapisti ludici, elusiv’e illusivi. Capolavoro.

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