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La teoria del tutto: la recensione di aleotto83

La teoria del tutto: la recensione di aleotto83

Approda finalmente al cinema la storia di una delle più grandi menti della nostra epoca: lo scienziato superstar Stephen Hawking, conosciuto dai fan de I Simpson e The Big Bang Theory per la sedia a rotelle robotizzata e l’inconfondibile voce sintetica, ma forse meno per i suoi contributi alla conoscenza umana del cosmo.
Non che il film di James Marsh incoraggi questo aspetto: la trama infatti predilige la storia d’amore con la moglie Jane e la progressione della malattia degenerativa, regalando un’eccezionale interpretazione del protagonista trentaduenne Eddie Redmayne, ma restando invece timida nel trattare la sostanza delle teorie scientifiche.
La ragione va trovata nel fatto che la pellicola è basata sul libro della stessa Jane Hawking, nel quale ripercorre gli anni di matrimonio con il genio e ne segue pedissequamente le tappe, spesso ci si rende conto che si sta guardando la vicenda dal punto di vista di lei e non è necessariamente un bene.
Ma andiamo con ordine: Stephen e Jane si conoscono ed innamorano da studenti a Cambridge, decisamente timido e sfigato lui quanto bella ed elegante lei, ma l’affiatamento tra i due è immediato come la scintilla che dà vita ad una stella.
A ventun anni, però, a Stephen viene diagnosticata una malattia del motoneurone che, a detta dei medici, lo porterà alla totale atrofia dei muscoli e alla morte nel giro di due anni.
Nel comprensibile sconforto totale, il ragazzo cerca di allontanare la fidanzata che si dimostra invece coraggiosa e tenace, sposandolo in fretta e furia e dandogli la forza di concludere brillantemente gli studi, oltre che tre figli.
Ma mentre la fama dell’astrofisico si sviluppa grazie all’audacia delle sue teorie sul tempo, proprio la cosa che più gli sarebbe difettata secondo i dottori, la malattia lo limita crudelmente, privandolo del movimento degli arti e, ad un certo punto, anche della voce.
Alla coppia va riconosciuto di non essersi mai dati per vinti, ponendo rimedio alla disgrazia degenerativa con i ritrovati tecnologici sviluppati negli anni settanta e ottanta e a cure che hanno portato lo scienziato a vivere per almeno altri 50 anni, visto che il vero Stephen Hawking, a settantadue anni di età, è ancora tra noi.
Questo l’innamorata studentessa non lo aveva previsto: accudire un marito completamente non autosufficiente, aiutarlo a comunicare il proprio genio al mondo e contemporaneamente tirare avanti una famiglia deve essere stato uno sforzo estremo anche per lei, e di certo qualche dubbio deve averlo maturato se ad un certo punto si invaghisce, ricambiata, di un prestante direttore del coro della chiesa (in uno stilizzato scontro scienza vs religione), che accetta di dare una mano a prendersi cura di Stephen e dei bambini pur di stare vicino alla bella Jane.
Ed è proprio questo insipido triangolo amoroso ad appiattire il film, forzando i toni da melodramma di cui non si sentiva il bisogno, visto che la vicenda umana della malattia del protagonista è dolorosa e commovente già da sola.
L’interprete di Stephen, Eddie Redmayne, è assolutamente straordinario nella propria dolorosa trasformazione, per come riesce a mostrare sullo schermo il progressivo avanzamento della malattia ma anche il guizzo d’intelligenza e umorismo che caratterizza il personaggio: i suoi sforzi per opporsi all’inevitabile fanno realmente soffrire lo spettatore, che dimentica di star guardando un attore.
Anche il vero Hawking è un fan del film e lo promuove dicendo quanto sia affascinante “rivedere la propria vita senza le parti noiose”.
Io invece l’ho trovato carino ma poco approfondito: come per tanti film biografici il difetto principale de “La Teoria del Tutto” è la mancanza d’ispirazione nel maneggiare materiale narrativo, tanto prezioso ed unico, come la vita di uno dei più grandi geni viventi rendendola quasi convenzionale, con una storia d’amore che tutto semplifica.
Le stelle e i buchi neri sono richiamati più nell’estetica di alcune scene che nei dialoghi e anche la fine dell’amore è vissuta come un buco nero che inghiotte la storia, lasciandoci un film incompiuto come la teoria stessa.

In tanti recentemente hanno evocato il parallelo tra geni problematici con il film The Imitation Game, sulla straordinaria scoperta e la sofferta esistenza dello scienziato Alan Turing, interpretato magnificamente da Benedict Cumberbatch: di certo si potrà prevedere un meritato testa a testa tra i due protagonisti per l’Oscar come miglior attore, entrambi hanno ottimi motivi per vincerlo.

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