L’origine dell’universo, tra stelle e buchi neri, valicando i confini di un tempo che ha avuto un inizio ed avrà la sua fine. Siamo nell’universo di Stephen Hawking, l’astrofisico che ha elaborato e confutato teorie che hanno cambiato il modo di intendere l’intera concezione della vita. Il fascino e la bellezza delle sue teorie vengono raccontate, così come la sua storia personale, per la prima volta sul grande schermo, e a realizzarlo è il regista James Marsh, noto soprattutto per i suoi documentari, come “Man on wire”, che gli valse l’oscar nel 2008. Il film è basato sulla biografia “Travelling to infinity: my life with Stephen” di Jane Wilde Hawking, attuale ex moglie del noto fisico, interpretata per l’occasione da Felicity Jones (The amazing spider-man 2) capace di proporre, nonostante quel suo viso così candido e dolce, un ruolo molto forte e caparbio, ma al tempo stesso di grande tenerezza. Un ruolo senza dubbio di non facile interpretazione riuscitole alla grande. L’annotazione da dieci in pagella per essersi identificato, con assoluta perizia, nelle gesta di Stephen Hawking va ad Eddie Redmayne (Les misérables), il quale ci fornisce un interpretazione magistrale e davvero emozionante, toccandoci nel più profondo della nostra sensibilità. La trama si sviluppa incentrando il tema del discorso, dapprima sul conseguimento del dottorato di Hawking a Cambridge e l’incontro con la sua futura moglie, per poi focalizzarsi sul drastico cambiamento nel modo di vivere che ne consegue da quando gli viene diagnosticata una patologia invalidante che colpisce i motoneuroni, ovvero quei neuroni che controllano la muscolatura volontaria come il respiro, la parola, il camminare ecc. e che causa una morte prematura. Ma nonostante le mille avversità riesce ad andare avanti nel suo scopo e dimostrare le sue teorie, conseguendo tantissimi encomi da tutto il mondo. La sua vita privata, ovviamente, subisce uno scossone al momento del suo declino fisico, però con l’enorme aiuto della moglie, spinta dall’amore nei suoi confronti, affronta con grande tenacia e sacrificio la complessa situazione ed insieme danno alla luce tre figli, andando, dunque, ben oltre le aspettative di vita che gli erano state paventate. Nel cast anche Emily Watson che interpreta la mamma di Hawking e Charlie Cox nel ruolo di Jonathan Jones, un maestro di piano che si presta con molta gentilezza e compassione ad aiutare la coppia nelle problematiche quotidiane. Jonathan, così come Elaine (Maxine Peake), l’infermiera che inizierà a prendersi cura di Hawking, saranno la ragione della separazione consensuale della coppia. La sensazione di angoscia nella quale veniamo avvolti durante il film è da imputare di certo al tema trattato, però il regista ci mette del suo per renderlo ancor più angoscioso con scene che non lasciano nulla all’immaginazione. Naturalmente il tutto ci spinge a meravigliarci ancor di più del talento di questo “piccolo” grande uomo, per aver avuto la forza di giungere a risultati cosi sorprendenti e illuminanti malgrado il suo notevole handicap. Confortante ed ammirevole il suo discorso finale, quando esorta tutti a non abbandonare mai i propri scopi, poiché chiunque possiede in se la forza e le capacità per giungere al traguardo dei propri ideali…”finchè c’è vita c’è speranza!”.
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