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La vendetta di un uomo tranquillo: la recensione di Mauro Lanari

La vendetta di un uomo tranquillo: la recensione di Mauro Lanari

Ma chi sarebbe l’imbecìlle che ha sdoganato il revenge movie dall’iineccepibile accusa di giustizialismo? Monicelli dimostrava d’aver ancora le idee chiare nel ’77 con “Un borghese piccolo piccolo”. Quali sarebbero perciò i presupposti teoretici a supporto della trilogia di Park Chan-wook o dell’Oscar 2015 a “The Revenant”? Su che basi sono stati riabilitat’i Bronson, gl’Eastwood e gl’Hackman (Oscar ’72)? S’una vaccata come la tesi di laurea d’Anceschi “Autonomia ed eteronomia dell’arte” (1936)? “Il merito di questo debutto d’Arévalo è […] in primis quello d’abbracciare il genere con una padronanza dei suoi codici, un realismo asciutto, crudo.” “8 anni fa è venuta fuori questa storia, nata da una conversazione rubata nel bar di mio padre. Perché mio padre avev’un bar simile a quello del film. In questa conversazione stavano commentand’una notizia al tg: un uomo confessò che dinanzi a una storia simile lui avrebbe pres’un fucil’e avrebb’ammazzato tutti.” Eccezionale spunto per uno script. Invece cambiare bar no, eh? T’uccidono la fidanzata a 3 mesi dal matrimonio? E io tifo per gl’assassini. Per favore, arriviamo a sdoganare pure gli snuff. Thanks.

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