L’alba del pianeta delle scimmie: la recensione di Luca Ferrari

Ci sono persone destinate a cambiare il corso della storia. Forse un insieme di coincidenze. Forse qualcosa che non si può ignorare dentro di sé. Forse la spinta entusiasta di salvare il mondo porta a crearne un altro, anche a proprio discapito. È quanto accade al geniale scienziato Will Rodman (James Franco), al servizio di una potente ditta farmaceutica, che cercando una cura per l’Alzheimer, malattia di cui è affetto il padre Charles (John Lithgow), dà involontariamente il via a una nuova generazione di scimmie intelligenti, potenzialmente capaci di sottomettere la razza umana. “L’alba del pianeta delle Scimmie” (2011, di Rupert Wyatt) è molto più di un ipotetico prequel del celebre “Il pianeta delle scimmie” (1968, di Franklin J. Schaffner con Charlton Heston) poi rifatto senza troppa fortuna commerciale da Tim Burton nel 2001. Questa nuova pellicola parla di un legame tra lo stesso Charles e un piccolo scimpanzé, che decide di allevare in casa propria invece di sopprimerlo come gli altri e più grandi colleghi a causa di un’esposizione al farmaco su cui stava lavorando, rivelatosi potenzialmente aggressivo. Ma c’è di più. Cesare, così viene chiamato il mammifero, diventa uno di famiglia. Cresce tra attenzioni e coccole, ricevute in abbondanza anche dall’ultima arrivata in casa Rodman, la bella fidanzata di Will, il veterinario Caroline Aranha (Freida Pinto). Il farmaco però, passato a Cesare dalla madre che lo ha partorito di nascosto nel laboratorio dove faceva la cavia, lo rende straordinariamente intelligente. Impara a comunicare con il linguaggio dei segni. Somministrato anche al padre, in un primo momento gli effetti sono di guarigione totale, poi però il fisico umano e i suoi anticorpi hanno il sopravvento. Nella scimmia no. Mentre Will è al lavoro, Cesare difende il vecchio Charles dal vicino scontroso, colpendo ripetutamente e per questo viene rinchiuso in gabbia. In una sorta di zoo privato, sotto le grinfie di un giovane e malvagio guardiano. Will gli promette che tornerà a prenderlo, ma non succede. L’animale rimane solo. Nei suoi occhi c’è tutta la sofferenza dell’abbandono. Nei suoi occhi ci sono le lacrime che sembrano gridare “Mi avevi detto che saresti tornato. Mi avevi detto che sarei tornato a casa con te. Mi avevi giurato che non mi avresti mai abbandonato. Non è accaduto nulla di tutto ciò. Non stupirti se presto la mia vita sarà altrove”. Cesare è uno scimpanzé, ma quando si trova per la prima volta dinnanzi ai suoi simili, le dinamiche sono le stesse di una prigione umana. Di un ufficio umano. Di una società umana. C’è il capo prepotente che deve marchiare il territorio umiliandoti e colpendoti. C’è l’amico buono. C’è la folla dei vigliacchi che seguono il più forte. C’è il sacrificio dell’amico per salvarti. Cesare lotta. Non uccide. Vuole solo il suo spazio. Vuole il proprio posto nel mondo. Perché ci sono momenti dove la conquista della propria libertà vuol dire “a qualunque costo, e con ogni mezzo”. Senza eccezioni. È l’inizio di una nuova era. Cesare guida la rivolta. Sarà salvato, e salverà a sua volta l’amico/padre di un tempo. Forse a questo mondo non c’è spazio per due civiltà dominanti (religioni o superpotenze economiche che siano), ma se guidate da uomini intelligenti che sanno guardare anche al proprio cuore, c’è posto per tutti su questo Pianeta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA