Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno: la recensione di Emilia Iuliano

Una nuova grande prova registica per il debuttante nel genere animazione Steven Spielberg. Un nuovo punto d’arrivo per la computer grafica, il 3D e la tecnica della performance capture. Un omaggio all’opera di Hergé, sui comicbook del quale il film si basa – Il granchio d’oro, Il tesoro di Rackam il Rosso e Il segreto del Liocorno -. E un tributo alla saga cinematografica, che ha dato il via all’inedita opera del regista, Indiana Jones. Ma soprattutto una grande avventura. Tutto questo è Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno. Il reporter dal ciuffo all’insù del fumettista belga, dopo la serie di cartoon e due film live-action (non distribuiti in Italia), Tintin et le Mystère de la Toison d’or e Tintin et les Oranges bleues, è protagonista di una nuova trasposizione, che riuscirà a soddisfare sia i fan del fumetto sia i neofiti. Merito soprattutto della scelta di unire le infinite possibilità offerte dalle più moderne tecniche della CGI alla recitazione di attori in carne e ossa. Un mix che ha permesso al contempo di mantenere fedeltà alla trama, alle fiabesche ambientazioni d’altri tempi e ai personaggi delle storie di Hergé, senza rinunciare alla presa sul pubblico che solo l’interpretazione di grandi attori riesce a garantire. Tra i quali, qui, su tutti spicca Andy Serkis, pioniere della recitazione in performace capture, da King Kong al Gollum de Il signore degli anelli, fino al Caesar de L’alba del pianeta delle scimmie. E’ lui, infatti, che dà vita al vero protagonista del film, il capitano Haddock, un marinaio ubriacone e folle dal passato misterioso e dal carisma leggendario, che si unisce (per caso o per destino) a Tintin sulle tracce di un inestimabile tesoro, guarda caso legato alla storia dei suoi avi. I due, insieme all’astuto cagnolino del giornalista, Milou, e a due simpaticamente maldestri detective (Dupond e Dupont), dovranno mettere insieme i pezzi di un’enigmatica mappa, attraversando mari, cieli in tempesta e deserti. Inseguiti da un criminale senza scrupoli, mosso da antichi rancori…

Le avventure dell’archeologo Indy vengono richiamate come una costante scena dopo scena, grazie a citazioni esplicite come la fuga dalla nave cargo (I predatori dell’arca perduta), il rocambolesco inseguimento in sidecar (L’ultima crociata), l’esibizione della nota cantante che si tramuta in un’acrobatica rissa (Il tempio maledetto) e molte altre ancora, che non creano alcuno straniamento neppure sui lettori di Hergé. I riferimenti, d’altra parte, non sono avulsi all’universo di Tintin, ma ne sono parte integrante, quasi come se i due eroi fossero uniti da un magico destino. Così Spielberg chiude l’immaginario cerchio, aperto da un critico 30 anni fa, quando paragonò il primo film di Indiana Jones proprio a Le avventure di Tintin, destando la curiosità del regista, che affidandosi ai consigli dell’amico e collega Peter Jackson (qui in veste di produttore) e alle prodezze della sua Weta Digital ha portato sul grande schermo un’avventura senza tempo, sfruttando le più moderne tecniche digitali e tridimensionali, che piacerà a tutta la famiglia. L’uso dell’animazione ha reso possibili piani sequenze d’azione altrimenti non realizzabili in live-action e lo spettacolo visivo è aiutato da un ottimo 3D, che si mette al servizio della sceneggiatura. E non viceversa, come spesso accade.

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Mi piace
La brillante e a tratti commovente interpretazione di Andy Serkis, che diventa il vero protagonista del film nei buffi panni del capitano Haddock. I titoli di testa: un omaggio alla ligne claire di Hergé

Non mi piace
Seppure anche nel fumetto spesso Tintin venga oscurato da altri personaggi, Spielberg avrebbe potuto dargli maggiore spessore a appeal

Consigliato a chi
Ai fan di Hergé e di Spielberg, ma soprattutto a chi desidera farsi trascinare in un’avventura senza tempo

Voto
4/5

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