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Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno: la recensione di Alessia Carmicino

Le avventure di Tintin: il segreto dell’Unicorno: la recensione di Alessia Carmicino

“We can’t go back, not now!… Not now.” (Tintin)

Il grande cinema d’avventura rivive ancora con “Tintin: il segreto dell’Unicorno”, piccolo gioiello d’animazione sognato e desiderato per più di vent’anni da Steven Spielberg e finalmente realizzato grazie una straordinaria e affollata collaborazione: il regista di E.T. e Peter Jackson(qui in veste di produttore)si uniscono così a Joe Cornish, Steven Moffat ed Edgar Wright, brillanti sceneggiatori inglesi che mettono a segno una scrittura spassosa e intelligente, impeccabile nell’ incastrare una trovata dopo l’altra senza mai perdere di vista l’equilibrio generale(proprio Wright aveva lavorato in modo magistrale nel costruire un nuovo dialogo fra fumetto e grande schermo nel dimenticato “Scott Pilgrim vs the World”); mai dimenticata,la ligne claire dalla quale tutto è iniziato nel 1929 riceve invece un omaggio di classe con uno splendido intro noir e con una scena iniziale che si permette di ospitare persino una caricatura dello stesso Hergè.
Se la scelta del motion capture e del 3D non sembrava la più saggia per il più bidimensionale dei fumetti, l’avanzata tecnologia che aveva già raggiunto sconcertante verosimiglianza con Zemeckis e Cameron qui si rivela finalmente funzionale, pronta a mettersi a servizio della messa in scena e del character design dei personaggi: fra indizi misteriosi e tesori nascosti, Spielberg porta la macchina da presa a bordo di una giostra mirabolante e frenetica,divertendosi a girare piani sequenza estenuanti quasi privi di stacchi di montaggio e forte di inquadrature decisamente impensabili per un semplice live action; in un mondo virtuale dove non esistono più barriere all’immaginazione, far incagliare un vascello in tempesta sulle dune del deserto solo per dare forma a un’allucinazione diventa un lusso lecito e concesso oltre che visivamente straordinario.
Fedele allo spirito del materiale originale e ostile alla creazione di sottotrame inedite il film soffre di un vuoto psicologico non indifferente, specialmente per un protagonista sul cui cuore poco c’è dato sapere: chi è davvero Tintin? Per quale giornale lavora? Dov’è la sua famiglia? Quali sono le sue debolezze? L’ eroe senza superpoteri che lotta a colpi di astuzia e intelligenza e veste le espressioni e i lineamenti di Jamie Bell è fedele fino alla fine al suo autore, restando un mistero per noi come in fondo lo era per lui; maggiore spazio è invece riservato al politicamente scorretto e più umano Capitan Archibald Haddock, interpretato da un Andy Serkis ormai veterano della recitazione “alternativa”, dotato come sempre della mimica necessaria ma di certo aiutato da un personaggio più simpatico e imperfetto.
Ad essere una vera delizia sono però le citazioni più o meno spielberghiane nascoste nella pellicola: Indiana Jones, chiamato in causa per ovvie ragioni di genere rivendica la paternità della rocambolesca parentesi marocchina(dall’atterraggio di fortuna nel deserto al fantastico inseguimento in sidecar per le strade di Bagghar), il ciuffo rosso di Tintin( indispensabile per il ragazzo quasi quanto il cappello per Indiana) emerge dall’acqua circospetto come la pinna de “lo squalo” mentre il potentissimo naufragio dell’Unicorno e la secolare sfida fra Sir Francis e Rackham il Rosso, per i più vicini al penultimo episodio de “i pirati dei Caraibi”, sono piuttosto debitori dell’attacco dei bimbi sperduti al Jolly Roger e del duello all’ultimo sangue fra Uncino e Peter Pan in “Hook”; più sottile invece l’omaggio a “l’uomo che sapeva troppo” di Alfred Hitchcock nella scena del concerto di Bianca Castafiore, “l’Usignolo Milanese” che diventa involontaria arma segreta del nemico frantumando a colpi di ugola un rigidissimo vetro antiproiettile.
Sulle note dell’immortale John Williams,Tintin si unisce al recente “Super 8” di J.J. Abrams(guarda caso prodotto dallo stesso Spielberg) nella ricerca di uno spettacolo genuino ed antico, una vera e propria Nostalgie di un cinema che è stato e che nell’era del Blockbuster sembra allontanarsi sempre di più, vestendosi dei panni di un fragoroso e spettacolare videogioco: quando il genio di Steven Spielberg va d’accordo col bambino che è in lui, il risultato non può che essere eccellente.

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