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Lei: la recensione di ale5b

Lei: la recensione di ale5b

La fantascienza in cui ci porta Spike Jonze con il suo “Her” non è quella profonda fatta di surreale e inverosimile. Mantenendo la sua caratteristica propriamente detta, è invece quella appena fuori dalla concezione umana, dove il razionale viene ostacolato da un confine tanto sottile da infondere il dubbio più concreto. Il mondo creato dall’immaginario del regista ha a che fare con un futuro prossimo, drammatico quanto prevedibile. La storia d’amore che ci verrà messa sotto gli occhi è un Romeo e Giulietta 2.0. La novità? Che la Lei in questione altro non è che un Intelligenza Artificiale sofisticata ed evolutissima. E’ solo accettando questa fondamentale condizione che “Her” può essere giudicato come merita. In caso contrario fermatevi pure qua.
Spike Jonze si è già ritagliato da tempo la sua fetta di consacrazione. La camaleontica attività lavorativa che lo ha visto passare dai videoclip musicali alle folli imprese della saga Jackass (come sceneggiatore), ha all’attivo pochi lungometraggi sui quali campeggia il cult “Essere John Malkovich”. Si, possiamo adottare termini quali innovativo e visionario. “Her”, come abbiamo detto, parte da questa base.
Eppure la storia sembra avere una struttura semplice. Theodore Twombly (Joaquin Phoenix) è un elaboratore di testi (lettere) per conto di terzi. Nello sfondo futuristico in cui è inserito e dove la dipendenza dalla tecnologia sembra essere diventata una concezione imprescindibile, l’incontro con un sistema operativo talmente evoluto da comportarsi in modo umano sconvolgerà totalmente la sua vita. Dov’è dunque tutta questa originalità che ha addirittura meritato un premio Oscar? Ovunque: dalla meticolosità dello scenario allo svolgersi della storia, il tutto passando esclusivamente dalla performance compatta e sicura di un Joaquin Phoenix che non ha la minima sbavatura di fronte ad una sceneggiatura mirata. Il futuro prossimo di Spike Jonze è d’impatto ma non sorprendente. Le persone dipendono dalla tecnologia in modo ossessivo ma i rapporti umani, seppur ridotti, restano ancora inalienabili. Theodore è un solitario, ma la sua asocialità è dovuta alla separazione dalla ex moglie (Rooney Mara) che lo ha reso malinconico e sofferente. Porta avanti la propria vita tra lavoro e videogame, mantiene esclusivamente relazioni con qualche collega di lavoro e l’amica Amy (Amy Adams).
Non è strano perciò vederlo perdere la testa per qualcuno (qualcosa?) con cui il suo mondo sembra riaprirsi lentamente. Samantha (si, ha un nome, si, è femminile) è più di quanto si possa immaginare. Le sue capacità vanno ben oltre i limiti conosciuti e, per quanto sorprendente, riuscirà in breve ad inserirsi nella simbiosi umana al punto da diventarne l’altra metà perfetta. Il passaggio da assistente tecnologico a vera e propria partner è rapidissimo. Theodore ne resta stregato e noi con lui riusciremo a sorprenderci dalla piega degli eventi. Proprio come succede nel quotidiano informatico il rapporto si evolve, cresce. L’incontro tra i due mondi in contraddizione è sublime, ognuno accetta il comportamento dell’altro imparando a mano a mano sempre di più. Ne nasce un rapporto abituale, fatto di confessioni, scoperte, corteggiamenti e…si! anche sesso. Ma anche dubbi, mezze frasi, ossessioni. Tutto quanto. Tutto quello che assottiglia il confine tra realtà e fittizio.
Afferrata la concezione precedentemente detta, “Her” è allora qualcosa di veramente mai visto. Spike Jonze lavora di fino ad una stesura anticonvenzionale e allo stesso tempo drammatica. Quello che ci mostra, da una parte ci accarezza come una favola romantica tutta da godere, dall’altra ci colpisce violentemente ponendo gli accenti su temi, solitudine e dipendenza, che feriscono in modo cupo e feroce. L’occhio con cui giudichiamo Theodore ha molteplici tratti. Passa dalla compassione alla felicità, dalla tristezza al malinconico. Proprio come la sua vita, prima così felice in compagnia di Catherine, poi devastata dal terremoto della separazione e da li, la caduta precipitosa nel limbo della depressione. Samantha però ha la coperta corta: non è né l’ancora della salvezza, né il male in persona.
Sceneggiatura brillante alla quale non si può certo chiedere quel tocco frizzante in più. Lo scorrere della storia, il diffondersi delle emozioni necessita gioco forza di un ritmo molto scandito. Enfatizzato da una colonna sonora importante e una fotografia straordinaria, il grande contrasto tra la globalità e l’introverso solitario è calibrato in modo divino. Joaquin Phoenix veste in modo perfetto i panni del personaggio affabile e sentimentale, la sua performance toccante sfiora ripetutamente i binari dello struggente. A non farci però cadere mai la lacrima ci pensa la voce di Samantha affidata a Micaela Ramazzotti, attrice di buonissima qualità ma scelta più che discutibile in fatto di doppiatrice. Ed è un grande peccato, soprattutto pensando alle tante brave che abbiamo a disposizione.
“Her” merita davvero la tanta considerazione che l’Academy gli ha riservato. Il premio Oscar alla migliore sceneggiatura originale è una boccata d’ossigeno per un cinema che è sempre più carente di buone idee. Facciamo un grande applauso a Spike Jonze ma ribadiamo: se non avete intenzione di accettare l’idea che un computer provi emozioni umane, allora statene alla larga.

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