Locke: la recensione di Matelda Giachi

Ogni attore di talento prima o poi si trova messo alla prova.
Incappa in un copione non destinato a sbancare il botteghino né a portarlo all’apice della fama, ma che gli darà la possibilità di passare di livello, di essere annoverato tra i “Grandi”.
Quelle pellicole coraggiose del genere di “Carnage” (2011, regia di Roman Polanski) o di “Sleuth” (2007, regia di Kenneth Branagh), ma anche del recente “August: Osage County” (2013, John Wells), in cui non ci sono effetti speciali o trame aggrovigliate a coprirti le spalle e a darti sostegno, sono solo le tue abilità interpretative ciò su cui puoi contare.

“Locke” è stata la prova, più che brillantemente superata, di Tom Hardy.
Un budget limitato, pochi giorni di riprese e un testo interessante da far vivere.

La storia è quella di Ivan Locke, un uomo come tanti che a un certo punto della sua vita ha commesso un errore, uno solo, ma grande.
Ivan compie una scelta, quella di non nascondere la polvere sotto il tappeto e di affrontare a testa alta la demolizione della propria esistenza in nome di ciò che è giusto.
E’ a questo punto che lo spettatore lo incontra: al volante della sua auto, in autostrada, di notte, mentre viaggia in direzione delle proprie responsabilità.
La macchina da presa lo segue per 85 minuti, in tempo più o meno reale.
Non sapremo mai cosa succede all’arrivo, non è quello che interessa al regista (che è anche sceneggiatore), ciò a cui lui mira è il percorso, quello interiore che il suo personaggio compie mentre affronta il viaggio reale.

Un uomo solo al volante di un’auto, per quasi un’ora e mezzo. Neanche una fermata all’autogrill o ad un casello, nessun volto sullo schermo oltre al suo, solo l’appoggio di qualche interlocutore che interviene per via telefonica.
O sei bravo o il testo può essere bello quanto vuoi, ma il risultato sarà inevitabilmente la più clamorosa débacle della storia del cinema.
E Tom Hardy non è bravo, è eccezionale, è oltre. Un “Grande”.
La sua interpretazione non è mai eccessiva, è calibrata, reale. La sua voce è profonda, il suo volto espressivo e carismatico.
Vedere per credere.

Questo film ha di speciale il riuscire a trasmettere il pathos proprio di un thriller attraverso una storia di tutti i giorni.
E’ un concentrato di emozioni, riesce a catturare l’attenzione per tutta la sua durata.
Ivan Locke, un uomo comune, è un eroe più grande dell’intera squadra degli Avangers.
E lo è perché fa quello che non fa la maggior parte dei suoi simili: affronta la vita. Ha una morale forte ma non è mai moralista. E’ duro quanto la verità che sbatte in faccia al suo prossimo, e a se stesso.

Varrebbe la pena poterselo godere in lingua originale; una prova enorme anche per il doppiatore.

“Locke” è il film che non ti aspetti.
Sbarcato all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, non era in concorso eppure, come spesso accade, è stato uno dei prodotti migliori che il Lido abbia ospitato a fine estate; forse il mio preferito.

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