Lucy: la recensione di ramsis

I Beatles cantavano Lucy in Sky with Diamonds. Dove molti avevano visto i viaggi psichedelici della neonata droga LSD, di cui le iniziali maiuscole delle parole del titolo, i Beatles avevano giurato, o almeno smentito, che l’insinuazione non fosse vera, chiarendo che la figlia dell’autore avesse pronunciato alcune di quelle parole, favorendo la fantasia del compositore. Conoscendo i Beatles e il periodo storico, non si fa danno a nessuno pensando che fosse un inno all’acido lisergico e vedendo il film di Besson, potremmo pensare che anche lui sia stato folgorato da questa fantasiosa ma suggestiva idea. Nel film, Lucy c’è, i diamanti sono i cristalli di droga che assume per diventare super intelligente, mentre il cielo è l’universo intero, dalla creazione ad oggi, quello che domina chi ha il 100% del potenziale cerebrale, ossia Lucy, in questo caso.
La storia è semplice. Lucy, una studentessa americana a Taiwan, viene arruolata, suo malgrado e innestandole il pacchetto di cristalli nell’addome, da malavitosi coreani per trasportare la potente droga in Europa e farla vendere per milioni di dollari. La ragazza, però, viene seviziata e il contenuto dei sacchetti le entra in circolo, trasformandola lentamente in una macchina vendicatrice, super intelligente e spietata.
A Parigi contatta uno scienziato che aveva fatto studi approfonditi sul cervello e sulle sue capacità, convincendolo ad incontrarla per studiare un modo di trasferire tutta la sua immane conoscenza e metterla al servizio della scienza e dell’umanità. Tra sparatorie e inseguimenti, raggiunge lo scienziato, Freeman, e mostra quanto ha appreso in appena 24 ore. Con un’assunzione esagerata di quella droga si fonde con l’universo e rilascia, dopo aver sterminato i suoi nemici coreani in maniera plateale, una chiavetta USB con tutto lo scibile.

Tutto questo condensato in una ora e mezza. Luc Besson torna al suo genere preferito dopo il Quinto elemento, unendo quello, appunto, a Nikita, in versione 2.0. Ma qui l’ambizione supera il risultato e anche di molto. La base di partenza è definire se l’uomo sia in grado di superare il 10% del suo potenziale mentale e se potrà, in futuro, arrivare al fatidico 100%.
Il solo pensiero spaventa, ma Besson, il più americano tra i francesi, non bada a spese o a contraddizioni di sorta, senza paura del ridicolo, sfoggiando un repertorio di sparatorie, inseguimenti e macchine volanti, aiutato un po’ dal sorriso che muovono alcune scene e dall’impegno, serio, della Johansson. Se la prima parte risulta un po’ lunga, quella in mezzo è alquanto inutile ai fini della storia, mentre la fine ha il merito di rischiare e di arrivare oltre.
Vale più l’idea che sul risultato. Chi ricorda Il Quinto elemento sa che non c’erano limiti alla fantasia e ogni idea, anche quella più stramba, era accettabile, tra grattacieli alti centinaia di metri, navicelle spaziali, informe entità aliene e un Bruce Willis d’annata. Qui, invece, Besson ha velleità da Super Quark con l’eminente Morgan Freeman che offre la faccia con serietà e bravura, donando una certa verità al suo personaggio. Quello che stona è il troppo rigorismo che pretende di dare, rimpicciolendo lo spazio all’ironia e alla fantasia, ciò quello che fa della fantascienza un campo interessante. Escluso 2001 Odissea nello Spazio, ovviamente.
Lucy, oltre ad essere il nome della ragazza dei Beatles, è anche la prima scimmia antropomorfa scoperta dall’archeoantropologia e questa citazione riempie un po’ quel vuoto che manca al film.
Idea buona, sprecata.

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