Magic in the Moonlight: la recensione di Barbara Monti

Anni 20, un celebre illusionista inglese si reca nel sud della Francia per aiutare un amico a smascherare una giovane medium, che pare intenta a raggirare una ricchissima famiglia americana. Realtà o finzione? Starà allo scettico prestigiatore scoprire la verità.
Sono ormai più di trent’anni che Woody Allen gira uno (a volte anche due) film all’anno. Chiaramente, con alle spalle una carriera iniziata nel lontano 1969, qualche scivolata è inevitabile. L’impressione che si ha vedendo Magic in the Moonlight è che Allen abbia inserito il pilota automatico e lasciato che la cinepresa facesse il suo giro da sola.
Il film si apre con lo scorrere dei titoli di testa sulle note di Cole Porter – tra i compositori preferiti da Allen – e immediatamente lo spettatore si immerge nell’atmosfera alleniana, fatta di raffinate melodie jazz. Poi, la prima scena: un illusionista esegue un numero di prestigio in un teatro. Ed ecco un altro tema caro al regista: la magia, elemento chiave di svariati suoi film.
Il protagonista, impersonato da Colin Firth, è un uomo cinico e razionalista ai massimi livelli, con l’immancabile battuta pronta sul Vaticano. Ci vuole poco a capire che siamo di fronte ad un “nuovo” alter ego di Allen, meno nevrotico del solito, ma sempre molto lucido nella sua consapevolezza razionalista con chiare tendenze pessimiste. Il “già visto” e il “già sentito” purtroppo sono dietro l’angolo, poiché la storia – leggera e non particolarmente avvincente – non presenta guizzi di nessun tipo. La sceneggiatura, solitamente fiore all’occhiello di Allen, manca di verve: sono poche le battute davvero riuscite.
Magic in the Moonlight vede scontrarsi due figure agli antipodi: da una parte Colin Firth, arrogante nel suo radicato scetticismo, dall’altra Emma Stone, incarnazione dell’imprevedibilità. Nella scelta tra realtà e illusione, Allen, pur rimanendo di base fedele al suo razionalismo, spalanca le porte all’irrazionalità dei sentimenti. Perché in fondo la magia esiste ed è l’amore, quella spinta propulsiva che porta Colin Firth a scegliere di “abbracciare la vita”.
Come sempre Allen presta molta attenzione all’estetica della scenografia e con Magic in the Moonlight si torna per la terza volta in Francia. La Costa Azzura è splendida con la fotografia di Darius Khondji, dai colori vivi quasi patinati.
Il risultato finale lascia però l’amaro in bocca. Se con Blue Jasmine Allen si era ripreso alla grande dopo la caduta di stile di To Rome with love, con Magic in the moonlight si ha l’impressione di trovarsi di fronte a un mero pacchetto preconfezionato. Una bella ambientazione, una colonna sonora gradevole e dei bravi attori non bastano a fare di Magic in the moonlight un film riuscito. La prevedibilità dello svolgimento e la mancanza di contenuti innovativi lo rendono un film “pigro”, facilmente dimenticabile.

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