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Martin Eden: la recensione di loland10

Martin Eden: la recensione di loland10

“Martin Eden” (2019) è il quinto lungometraggio del regista casertano Pietro Marcello.
“Grazie per aver salvato nostro figlio”.
“Non ti basta la bajour per scrivere? La luce si paga”
“Vieni resta qui torniamo a fare le cose di prima….”.
Film di sconquasso narrativo con sperimentazioni varie, documentazioni reali, fotografia in filigrana, personaggi scontrosi e mistificazioni storiche.
Film di grande spavento e lettura sotto le righe con la storia minima e massima che si conoscono ma non si capiscono; il velleitarismo do un cinema semplice nasconde il grande coraggio per un ‘racconto’ epico in cui viene toccato tirato il secolo breve con immagini di mare, di interni, di comizi, di ballo, di vie, di campagne, di treni e di luoghi di cui conosciamo poco o niente. Un miscuglio con ricordi e reali, vivi e morti che danno risalto ad un’opera forte e suggestiva.
Surreale e voluminosa, sognante e pregnante, rarefatta e corporale: una storia in un film dove il documentarismo (usato dal regista, una sua passione) fa qualcosa e di altro, a parte. Sembra di vedere un racconto a vari livelli con scene e inquadrature veramente efficaci e di rara bellezza, con un’anima e un fondo intenso dello scritto. Certo non lineare, ma con i tempi che si incontrano casualmente non conoscendosi (il primissimo novecento, il post guerra, gli anni del boom e gli anni ottanta): teche senza sarlo e ritratti senza parenti.
Tratto liberamente dal romanzo omonimo di Jack London e sceneggiatura dello stesso regista con Maurizio Braucci (già collaboratore in “Bella e perduta”, 2015). La storia è stata spostata in una Napoli sospesa e in un non ben definito lasso di tempo. Tutto è tempo nello scorrere con pensieri, incontri, passati, foto e movimenti durante un andirivieni del novecento dove il nostro Martin ne vede tante con l’agonia sulle spalle di essere ignorante del tutto prima di inizia a leggere.
Il suo scopo, poi, è scrivere e come scrittore di essere pubblicato. Invia racconti su racconti, plichi su plichi e con la stessa dicitura ‘rispedito al mittente’ li riceve indietro; la sua forza morale franava ma ogni volta si ricaricava. La sconfitta rendeva forte la voglia di riscrive ancora.
Acquista con i pochissimi soldi una macchina da scrivere di seconda mano e diventa il suo continuo bagaglio vero e importante.
Gli piace viaggiare, col poco che ha, e vuole tenersi lontano dal cognato che non recepisce mai il messaggio di una cultura.
Il film ha una prima porte poderosa, incisiva, fluttuante e intensa. La commozione sincera si stratifica in parecchie vicende del nostro Martin che vuole arrivare a sapere e conoscere. L’incontro con la famiglia di Elena è casuale. Salva da una lite il fratello e viene ringraziato da tutti i familiari. Costretto a rimanere a pranzo conosce la ragazza. Famiglia borghese e con una certa dose di cultura. In essa arrivano incontri e scontri poderosi. Martin, un ex marinaio, conosce i suoi limiti e vorrebbe realizzare i suoi sogni. In questo contrasto intenso il film argomenta, in modo rarefatto, languido e con passione repressa, lo sfogo interiore del ragazzo popolano e privo di ogni nerbo culturale.
Elena gli consiglia di tornare a scuola. Ma da un libro iniziale di Baudelaire la carica inizia. I suoi versi e le sue parole colpiscono, come alcune argomentazioni filosofiche di Herbert Spencer (teorico del darwinismo sociale) e il sentore politico del,pensiero socialista. Ma non tutti sono dalla sua parte. Elena gli dice di ‘scrivere altro’. Secondo lei è troppo duro, reale, colpi allo stomaco continui. E Martin si arrabbia: le fa vedere i luoghi che conosce e le persone misere che fanno fatica a sradicare la loro quotidianità. Elena vuole tornare a casa. Il suo mondo ‘bello e lineare’, di una borghesia pulita fa a pugni con certe scene. Il girare il set dall’altra parte. Martin e Elena due mondi casuali che sognano a loro modo ma il ragazzo ne prende coscienza e non risparmia nessuna nemmeno chi pensa di averlo aiutato.
Si sente in odore di arrivo, pensa di avere il coltello dalla parte del manico, crede di poter rovesciare le convenzioni classiche, sfoga il suo dire contro una cultura che non c’è. Il fervore della novità e del suo vero narrare riempiono le bocche di molti e, lui, inizia a rendersi conto quasi di essere messo da parte. E la cultura diventa arma (affilata) a doppio taglio. E il nostro Martin sembra girare a vuoto. E il resoconto finale è amaro: non c’è vittoria. In vita l’odore della medaglia è lontana. E anche di cui scrivi non sono proprio contenti.
La morte a qualcuno darà il suo. Ecco che Jack London da oltre un secolo aveva intuito è capito ciò che l’uomo riceverà in cambio di quello che professa…. Torto e ragione quasi combaciano.
Ecco che l’incontro casuale (sul treno) con una donna, di nome Maria (Carmen Pommella), e i suoi due figli (“il marito me l’ha portato via il Signore”) appianerà certe cose per crearne altre. Una popolana senza nulla gli darà quasi conforto. Ma quando il mondo si rovescia e il successo arride al suo nome….Maria in un secondo tempo dirà a Martin “torna a fare le cose di prima”. Torna con la speranza dentro e il tuo sogno da conquistare. Ma oramai Martin Eden è fuori da se stesso, dal suo nome e da quello che ha vissuto. Le origini e ciò che hai perduto per sempre. Un vittoria (presunta) ti piacerà ma ti potrò anche distruggere (definitivamente).
Gli oggetti, i piccoli materiali, le cose minime, i fogli, il poco denaro, le stanze adombrate, l’essenziale in tavola, la nave che parte, le lacrime e i fazzoletti bianchi che si scorgono dal molo; le valigie e lo spago, le rughe e il coltello, le liti e i pugni, le lettere e la luce della notte, i vicoli e le miserie, il primo assegno e la spesa; ecco si arriva a pulire il piatto con il pane, una ‘scarpetta’ di odore di sugo per ‘togliere la povertà’ come dice Martin a casa di Orsini durante un invito a pranzo.
Gli oggetti, i piccoli materiali, le cose minime, i fogli, il poco denaro, le stanze adombrate, l’essenziale in tavola, la nave che parte, le lacrime e i fazzoletti bianchi che si scorgono dal molo dalle immagini arrugginite annerite dai fumi del tempo. Passati decenni e decenni quando andare oltreoceano era un successo. Il resto solo speranza di riportare qualcosa.
Un vivo mondo fatto di nessuna certezza e quando pensi che un traguardo è vicino ecco a fianco appoggiarsi il riso di una sconfitta (di rapporti, di idee e di vita familiare).
L’umiltà di chi parte ha il volto arrabbiato, scontroso e ignorante di un martin qualsiasi; ma la postura narrativa è di non solo scrivere il reale ma di renderlo utile.
Cast:
Luca Marinelli (Martin Eden): è scomposto, stralunato, corposo, assente e scostante; il vivo attento tra un guizzo poetico e una cultura che non arriva a nessuno; intenso e vibrante, quasi costruisce da se il personaggio; tra sogno e realtà, tra delusione cocente e presente solitudine.
Carlo Cecchi (Russ Brissenden): usa la classe teatrale per uno scontro e un dialogo, tra una vita espansa e la morte di ogni pensiero. Messo lì non per caso, mentore per una recitazione costante.
Jessica Cressy (Elena Orsini): tenera, dolce, avvolgente, severa e lontana. Una gracilità che nasconde un desiderio che ha e non sa cogliere.
Fotografia: efficace, intristita, sfocata, in filigrana, piatta e piena di cenere con brace.
Musica: variopinta e scostante, generosa e con canzoni ‘dialettali’ (come non riconoscere “Voglia ‘e turnà” con la voce di Teresa De Sio).
Regia di Pietro Marcello: documentata, sativa, misurata e intensa; quando la passione si commisura con la forza di un quadro in movimento.
Voto: 8½/10 (****) -cinema implosivo-

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