Mission: Impossible – Protocollo Fantasma: la recensione di Giorgio Viaro

Premessa. Se seguite il cinema attraverso il web, saprete che ormai la promozione online dei film della major è fatta di alcuni passaggi obbligati, che vengono automaticamente ricevuti e diffusi dai siti specializzati: le prime foto “rubate” dal set, la prima foto ufficiale, il primo teaser poster, il primo teaser trailer, e così via. Arrivati ad un certo punto, inizia la fase delle clip: ovvero delle sequenze del film estrapolate dal contesto e diffuse per far crescere l’attesa degli spettatori. Non contengono generalmente alcun particolare narrativo, ma solo delle trovate particolarmente buffe o spettacolari.

La premessa serve a introdurre il discorso su Mission: Impossible – Protocollo Fantasma. Il film racconta la caccia all’uomo di una divisione clandestina dell’IMF guidata come di consueto da Ethan Hunt (Tom Cruise), che tenta di fermare un terrorista nucleare (Michael Nyqvist) dopo essere stata ingiustamente accusata di aver piazzato una bomba al Cremlino. Con Hunt ci sono anche un tecnico informatico (Simon Pegg, già presente nel terzo episodio), una affascinante spia in lutto per la morte del fidanzato (Paula Patton) e un analista dei servizi segreti piuttosto bravo anche a menare le mani (Jeremy Renner). Non c’è molto altro da dire, e il problema è precisamente questo: il film è un collage di clip straordinariamente spettacolari (incredibile la sequenza acrobatica sul grattacielo a Dubai) che sembrano pensate per promuovere il film sul web, senza che nessuno si sia adoperato a inventare uno straccio di trama per tenerle insieme.

Si potrebbe obiettare che il problema è comune a molti blockbuster hollywoodiani d’azione, ma la questione non è così semplice.
Iniziamo dal ruolo del cattivo: anche accettando il presupposto che si tratti di un personaggio che agisce senza alcuna motivazione, un semplice pazzo fuori controllo, e anche ammettendo che questo pazzo possa essere un professore universitario svedese di mezza età dotato per qualche ragione della capacità di saltare e combattere come un ninja, quel che non funziona è che non ci si sforza di renderlo credibile nemmeno secondo i canoni del genere. Un villain che non ha una base strategica, non ha seguaci, non ha tecnologia, non ha carattere, non ha segni particolari. Non ha niente. Se ne va in giro a piedi con uno scagnozzo e una (ambitissima) valigetta distruggendo tutto tra Russia, Emirati Arabi e India, inseguito dalle nostre quattro spie acrobate che puntualmente lo mancano, minacciando di scatenare un olocausto nucleare. Non c’è niente intorno a lui e agli agenti di Hunt – attorno ai loro corpi, nomi e ruoli – proprio come se al ristorante vi servissero della panna direttamente nella coppa delle mani, e vi raccontassero che sono profitteroles.

Il film si trasforma così in una versione piena d’azione del Giro del mondo in 80 giorni, inframezzata di siparietti in cui emerge il talento comico di Pegg, ma in cui nessuno si prende il disturbo di giustificare gli spostamenti tra i quattro continenti o l’entrata in scena dei gadget da superspia (pensate a Q, deputato a mettere le carte in tavola all’inizio di ogni 007, in attesa che queste fossero poi estratte dal mazzo di Bond al momento più opportuno…).
Ma la poca cura per la narrazione si vede soprattutto nella superficialità con cui anche le poche leve drammatiche presenti (la spia che vuole vendicare il compagno morto, la vedovanza di Hunt, lo scheletro nell’armadio dell’analista) vengono sciupate dal regista, che le relega a francobolli attaccati con superficialità tra un inseguimento e una capriola, come fossero una seccatura da sbrigare.

Il problema registico, in questo senso, non può essere ignorato: Brad Bird (il regista de Gli Incredibili) viene dall’animazione, e la sua mancanza d’abitudine a valorizzare le performance di attori in carne e ossa tramite gli strumenti di base del cinema (oltre, probabilmente, ad un deficit di carattere dovuto alla poca esperienza che gli avrà impedito di obiettare alcunché alle smanie da ginnasta di Cruise), è lampante: scelte di illuminazione incomprensibili (come nel finale al porto, che sembra uscito da Capodanno a New York), tempi drammatici scentrati, abuso del montaggio alternato, e un’insistenza sul product placement (Apple e BMW) davvero eccessiva.

Detto tutto questo, bisogna ammettere che alcune sequenze acrobatiche (la passeggiata sul grattacielo, l’incursione al Cremlino) lasciano a bocca aperta, e per chi ne è goloso ripagano ampiamente di tutte le altre delusioni. Ma è come se tutta la creatività fosse stata spesa lì, dimenticandosi del resto. Come in un film di Bond in cui il cattivo non “corteggia” 007 prima di cercare di ucciderlo, in cui Bond stesso non è disposto a rischiare la vita per una bellezza appena conosciuta, e in cui Q ed M sono solo due lettere sul copione.

Mi piace
Le sequenze d’azione sono sbalorditive

Non mi piace

La mancanza di attenzione nel costruire la storie e i personaggi

Consigliato a chi

A chi ama l’azione e l’adrenalina, senza se e senza ma

Voto: 2/5

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