Mon Roi: la recensione di Maria Laura Ramello

“Il problema non siamo né io né te. Il problema siamo io e te insieme”.
Tony (Emanuelle Bercot) è ricoverata in un centro di riabilitazione dopo un intervento al ginocchio, dovuto ad una brutta caduta con gli sci.
Costretta all’interno della struttura, tra esercizi e fisioterapia, ha tempo per ripensare alla sua turbolenta relazione con Georgio (Vincent Cassel), l’amore della sua vita.
Con continui flashback assistiamo allo svolgersi della relazione e scopriamo cosa è davvero successo.

È un film di corpi Mon Roi. Di corpi che si incontrano si scontrano, si stringono, si spezzano e si allontanano.
Storia d’amore e dipendenza, tra melodramma e pura psicosi, l’opera di Maïwenn (Polisse) presentata alcuni mesi fa al Festival di Cannes, mette in scena le differenti fasi di una relazione destinata a sfaldarsi.
Quella di Georgio, che si getta a capofitto nella storia con una donna matura senza pesare le responsabilità che passano per ogni promessa; e quella di Tony che si abbandona testa e viscere a un rapporto che fin da principio sa di essere senza fondamenta.
Sarà comunque lei, attraverso un percorso di dolore anche fisico, di avanzate e ripensamenti, a mettere i punti dove serve; mentre l’uomo farà la figura dell’eterno incerto, sensibile solo al proprio istinto e mai a quello altrui.
Un dramma femminista coraggioso, lontanissimo dalla patina di isteria autolesionista con cui qualcuno ha voluto dopo il Festival di Cannes dipingerlo.
Faticoso ed emozionante.

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Mi piace: l’interpretazione di entrambi i protagonisti.

Non mi piace: la catarsi finale, che poteva essere approfondita.

Consigliato a chi: ama i film “d’amore”, anche quelli difficili da digerire.

Voto: 4/5

 

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