telegram

Nerve

Nerve

Venus “Vee” Delmonico, interpretata da Emma Roberts, non è mai stata popolare ma, messa alle corde dagli amici, decide di prendere parte a Nerve, un popolarissimo gioco basato o sull’interattività e sulla condivisione di sfide live con altri utenti collegati alla piattaforma, che possono prendervi parte in qualità di spettatori o giocatori: un dualismo dal quale non si esce e che definisce le due estreme polarità intorno sulle quali Nerve stesso si fonda. Non c’è alternativa, infatti, tra il mettersi in pericolo e il diventare voyeur delle imprese altrui, in un incastro di pulsioni e punti di vista che amplifica a dismisura le dinamiche social contemporanee e le porta a livelli massimi di adrenalina e pericolosità.

Con Nerve i due registi Henry Joost e Ariel Schulman, autori di un paio di Paranormal Activity, tornano ad affrontare le distorsioni digitali della realtà, non più in chiave horror e nemmeno attraverso la lente documentaristica che avevano fatto propria con efficacia in Catfish, dove ogni regime di certezza veniva sbriciolato attraverso l’atto del filmare le vite degli altri con una presa diretta non priva di conseguenze sorprendenti e destabilizzanti. In Nerve, sceneggiato da Jessica Sharzer a partire dal romanzo di Jeanne Ryan, a far partire il meccanismo distopico c’è il dover baciare uno sconosciuto, imperativo del gioco cui la protagonista Vee si ritrova a dover obbedire. Lui è Ian, interpretato da Dave Franco, sta leggendo Gita al Faro ed è proprio il romanzo di Virginia Woolf a mettere in contatto i due, con una scintilla forzata e dettata da esigenze di visibilità che si tradurrà tuttavia in qualcosa di più intenso, condiviso e partecipato.

Nella vita di Vee, che vorrebbe abbandonare Staten Island per frequentare una scuola d’arte nel sud della California ma ha paura di deludere la madre (Juliette Lewis), l’irruzione di Nerve trasforma ogni cosa in una giostra impazzita in cui ogni ostacolo può generare imprevisti e colpi di scena potenzialmente letali e a cascata. Coloro che ci salgono a bordo sono tutti prigionieri, siano essi osservatori attivi o schiavi al soldo dello spettacolo di un teen movie in versione game thriller che esplode in una Manhattan fatta di luci al neon, innamoramenti improvvisi e sentimenti di rivalsa, dove tutto si sussegue in una scansione incontrollabile e, come recita la tagline del film, è come obbligo o verità, ma senza verità.

Si muove dopotutto nella palude odierna della post-verità dettata dai new media e dalla moltiplicazione di informazioni, la parabola ludica e insieme temibile di questa giovane donna alle prese con la spietatezza di Internet e con una storia d’amore tanto imprevedibile quanto sacrificata sull’altare dell’appetibilità virale di massa. Le grafiche e luci del film pulsano e si moltiplicano, rimbalzando da un’icona all’altra con la stessa rapidità del chiacchiericcio internettiano o di un flow di tweet. I like e le reaction sono ovviamente elargiti in diretta e l’odissea notturna di Vee e Ivan, divisa tra tatuaggi, sfide vertiginose e da capogiro (guidare in moto bendati, muoversi su una scala che fluttua tra due edifici) oltrepassa anche la dimensione delle storie e del backstage in pillole offerto ai propri followers per raggiungere a tutti gli effetti la nudità e l’assenza di filtri degli Hunger Games veri e propri.

Proprio in virtù di tale rimando la chiave di lettura scelta dai due registi non è certo nuova né inedita, ma non è trascurabile l’impietosità con cui l’eccitazione 2.0 viene progressivamente venata di sconcerto e di fallimento (YOU FAILED, a caratteri ovviamente cubitali nella grafica del gioco), di arene pubbliche pronte agli strali dall’altra parte dello schermo e di celebri youtuber che fanno capolino (il cameo di Casey Neistat, ad esempio), a certificare l’assenza di steccati di un universo sempre interconnesso. Lo chiamano super-realismo, questo bisogno selvaggio di abbattere gli steccati tra i confini di una galassia digitale e la soglia concreta e carnale di un mondo tangibile: Nerve, con sorniona malizia da reality show, si adatta ai suoi linguaggi e alle sue esigenze, le rimastica e le digerisce anziché risputarle, restituendo un affresco teen in cui l’emotività è sempre sull’orlo del collasso e la coscienza dei propri desideri un’incertezza sempre più sgretolata.

Mi piace: l’approccio adolescenziale alla post-verità e all’immediatezza dei social, che non lesina la giusta dose di cattiveria

Non mi piace: i debiti troppo evidenti a Hunger Games

Consigliato a: i lettori del romanzo originale e a chi vada in cerca di un film romantico e adolescenziale ma in grado di toccare corde attuali

Voto: 3/5

© RIPRODUZIONE RISERVATA