Mi maledico per aver perso il primo volume dell’ultima opera di Von Trier. Perché la seconda parte del tanto atteso e urlato film del maestro danese colpisce e non lascia indifferenti. Il marketing dei mesi precedenti l’aveva descritto come l’opera definitiva di hardcore autoriale, come il trattato filosofico sulla dipendenza erotica, il testamento definitivo, teologico ed erotico, dell’odio e amore verso il gentil sesso. Definizioni giuste alle quali aggiungerei il fatto che si tratta di un film senza amore, che scandalizza senza esagerare e senza scadere mai nella banalità, pieno di simboli iconoclastici di pornografia (senza mai effettivamente sfiorarla ) e di religiosità ( come nella scena del primo orgasmo di Joe, generato da una visione quasi a sancirne l’origine sacrale ) alle quali vanno aggiunte alcune ossessioni di origine sadica. Geniale poi lo sviluppo, costruito su un confronto teatrale tra la ninfomane e lo sporcaccione di turno, un misto tra una confessione religiosa e una seduta dallo psicanalista. Un racconto notturno che diventa viaggio verso la dannazione, una parabola verso la redenzione che alla fine invece trasformerà la vittima in carnefice. Forse pecca di eccessivi e ossessivi intellettualismi ( musica , voyeurismo, quadri e filosofia ) ma la divisione in capitoli del racconto, quasi a voler ricercare un origine biblica del tutto, rafforza e lega la trama nonostante le continue rotture narrative. Tutti in piedi poi per i titoli di coda, con Charlotte che canta un versione dark ed erotica del classico Hey Joe di Hendrix
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