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Nymphomaniac – Volume 1: la recensione di Barbara Monti

Nymphomaniac – Volume 1: la recensione di Barbara Monti

Nymphomaniac – volume 1
Di Lars Von Trier (2014)

È una cupa sera invernale e sta piovendo. Un uomo di mezza età trova una donna distesa a terra in un vicolo, col volto tumefatto e coperto di sangue. Decide di portarla a casa sua per aiutarla a rimettersi in sesto. Una volta riacquistate le forze, la donna inizierà a raccontargli le vicende che l’hanno portata a trovarsi in quel vicolo ridotta così. È una storia lunga, che parte dall’infanzia e ha come tema centrale la progressiva scoperta della sua ninfomania.
Occorre fare una premessa: la versione di Nymphomaniac Vol.1 presente nelle sale italiane è una versione censurata, la versione integrale è stata per ora proiettata solo durante lo scorso Festival di Berlino. È quindi difficile esprimere un parere su un film che risulta privato di un’ora abbondante di contenuti e che è solo la prima parte dell’opera completa (il Volume 2 esce nelle sale il 24 aprile).
L’ultima creazione di Von Trier è stata preceduta da una campagna di marketing quasi assillante, che ha contribuito a creare un grande polverone sulla presunta pornografia del film. Solo dopo averlo visto ci si rende conto che in realtà Nymphomaniac è quanto di più lontano ci possa essere da un porno.
Con Nymphomaniac Von Trier chiude un cerchio, ossia la “trilogia della depressione”, iniziata con Antichrist e proseguita con Melancholia. Nonostante il sesso sia ovviamente molto presente nell’ultima discussa opera di Von Trier, risulta chiaro come la sua funzione vada ben oltre l’atto sessuale in sé e riporti ad una dimensione altra, la dimensione del dolore. Nymphomaniac è, a tutti gli effetti, un film molto doloroso, che pone l’accento sull’impossibilità dell’essere umano di colmare un vuoto: il vuoto dell’esistenza.
Il film è suddiviso in cinque capitoli ed è caratterizzato da una continua alternanza di piani temporali tra il presente in cui Joe – interpretata da Charlotte Gainsbourg – parla con Seligman – interpretato da Stellan Skarsgård – e i flashback della vita di Joe, prima bambina, poi adolescente. Il ritmo può risultare talvolta discontinuo ma i numerosi registri stilistici utilizzati dal regista fanno sì che il film non ne risenta più di tanto. La miscela di situazioni grottesche, drammatiche ed umoristiche è la caratteristica peculiare di Nymphomaniac, in grado di suscitare nello spettatore emozioni contrastanti, lasciandolo talvolta spaesato.
Le numerose metafore ed i riferimenti colti espressi da Seligman offrono interessanti spunti di riflessione e sono la controparte culturale dei racconti di Joe, caratterizzati invece da impulsi irrefrenabili, quasi bestiali. Von Trier costruisce un film complesso, stratificato, in cui abbondano i richiami letterari e filosofici, passando per la matematica e le composizioni polifoniche: metafore atte a decodificare ed “inquadrare” la sessualità disperata della protagonista.
La razionalità della parte maschile si contrappone all’istintività caotica femminile: sembra proprio che Von Trier abbia affidato al personaggio di Seligman il compito di metter ordine nel caos che regna nel mondo di Joe. Non è un caso che il contesto nel quale i due personaggi si confrontano ricordi quello di una seduta di psicoanalisi, in cui la donna racconta all’ascoltatore il suo essere ninfomane, definendosi “un pessimo essere umano”. Il sesso è presentato quindi come colpa da confessare, mai come puro piacere o godimento. Il senso d’inadeguatezza che pervade la protagonista emerge chiaramente durante il film, e le numerose scene di sesso non fanno che enfatizzare la profonda solitudine che affligge questo personaggio. Il rifiuto totale dell’amore e delle relazioni convenzionali portano la donna a perdersi in un’oscurità sempre più profonda. Lo stato di sofferente apatia sperimentato da Joe culmina con una straziante affermazione: “Non riesco a sentire niente”.
Una menzione speciale va all’incipit – magistrale – del film, in cui la cinepresa si sofferma a lungo sui dettagli della scena, immersa in un silenzio oscuro e misterioso, rotto improvvisamente dalle violentissime note di una canzone dei Rammstein, Fuhre mich.
Il cast funziona bene, bravi la Gainsbourg e Skarsgård, coinvolti in un continuo botta e risposta, fantastica Uma Thurman che, nonostante sia presente solo per una manciata di minuti, regala una delle sequenze più riuscite di tutto il film.
Non resta che aspettare il Volume 2, dopo il quale si potrà finalmente avere un quadro completo di quest’ultima tormentata opera del regista danese.

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