On the road: la recensione di Silvia Urban

Uno spirito che arde e non conosce sedentarietà. Un’immaginazione che ha bisogno di libertà e di nutrirsi viaggiando. La ricerca di una casa, che non c’è, e di se stessi. La mente perennemente annebbiata da alcol, fumo e droga. I soldi che non sono mai abbastanza, ma nemmeno sono un problema: si può rubare (del resto, è lo stesso Presidente Truman a dire che «bisogna ridurre il costo della vita»). Un corpo infuocato dal desiderio, che non si accontenta di un solo partner, spesso neanche di uno alla volta. La voglia di godere, soddisfare il proprio istinto, consumare l’eccitazione provando magari anche un po’ d’amore. Nella borsa le pagine di Proust e Joyce, in mano una penna e un foglio bianco su cui imprimere sensazioni, visioni, emozioni, ricordi, incontri, passioni.

Lo spirito della Beat Generation torna a battere con il film di Walter Salles, On the Road, ispirato all’omonimo libro di Jack Kerouac. Un viaggio senza meta, lungo cinque anni (partenza:1947, arrivo: 1951) che percorre tutti gli Stati Uniti e si concede anche una fuga in Messico. È il viaggio di Sal Paradise (Sam Riley), aspirante scrittore newyorkese che, dopo la morte del padre, si mette on the road per ritrovare l’ispirazione e colmare il vuoto interiore. Un bagaglio essenziale, pressoché vuoto. Una solitudine temporanea, costantemente intervellata da compagni di viaggio che camminano al suo fianco per condividere parte del percorso. Tra questi Dean Moriarty (Garrett Hedlund), spirito nomade e ribelle, il cui fascino finisce sempre tra le gambe di donne diverse. Anche se Camille (Kirsten Dunst) rimarrà sempre la madre delle sue figlie e Marylou (Kristen Stewart) la preferita – e la prima moglie, sposata quando aveva appena 16 anni –.

Dopo I diari della motocicletta, Walter Salles piazza nuovamente la sua macchina da presa sulla strada per riscoprire quel vento Beat che negli anni ’50 soffiò sulla vita intellettuale e culturale americana, ritrovandone l’essenza e nello stesso tempo fotografando l’America (leggi: gli Usa), tutta. Quella delle immense distese ma anche quella cittadina. Quella senza freni e quella più borghese. Quella familiare e quella più selvaggia alla costante ricerca di stimoli. E non si ferma davanti a nulla, neppure davanti al bisogno erotico, che trova spazio in moltissime scene di forte sensualità, dove i corpi sudati e avvinghiati si abbandonano ai gemiti. Sono soprattutto quelli di Dean e Marylou (Kristen Stewart compare in almeno quattro scene di nudo), cui spesso si aggiunge l’amico e amante Sal. Perché è insieme, seduti nudi in macchina a stimolare il piacere l’uno dell’altro, che si sperimenta l’assoluta libertà e per un istante si sfiora la felicità. Soprattutto, si alimenta la propria anima intellettuale.
Concentrare un’esperienza così lunga e ricca in poco più di due ore non era facile. Ma il viaggio va percorso tutto, anche a scapito di rendere qualche passaggio un po’ troppo frettoloso, di non approfondire il legame tra Sal e altri colleghi incontrati lungo il cammino e di affidarsi a un trio protagonista troppo bello e poco dannato. L’importante è cogliere quello spirito, immortalare sguardi e sussulti, restituire le atmosfere, lasciarsi trasportare da quel vento e ispirare da «persone che ardono, ardono, ardono come candele» nelle parole dello stesso Kerouac. E mentre Sal appunta tutte queste sensazioni sul suo bloc notes, Salles le pennella sullo schermo, dipingendo un quadro impressionista dove campi larghi e primissimi piani si rincorrono, a volte senza soluzione di continuità. E davanti al quale mai ci si annoia, mai ci si spegne. Quando il rischio si avvicina, il motore si riaccende, lo zaino torna a riempirsi e ci si rimette on the road.
Un film che conquisterà soprattutto le nuove generazioni, quelle che né hanno vissuto né conoscono la Beat Generation. E che vivranno il lavoro di Walter Salles come una sorta di “alfabetizzazione” a quel periodo rivoluzionario. Magari lasciandosi ispirare dal suo dinamismo, da utilizzare come “antidoto” all’immobilismo di oggi.

Leggi la trama e guarda il trailer del film

Mi piace
La molteplicità di sensazioni che il film trasmette, che nel complesso riescono a cogliere e a restituire allo spettatore l’ardente spirito della Beat Generation

Non mi piace
Alcuni passaggi un po’ troppo frettolosi, la mancata messa a fuoco dei personaggi secondari e la scelta di tre attori troppo belli e poco dannati, seppur bravi

Consigliato a chi
Ama la regia on the road di Walter Salles e non conosce la Beat Generation

Voto
4/5

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