One Day: la recensione di Luca Ferrari

Favola diluita. Barbabietole e vodka. Due classi a confronto. C’è chi sta crescendo e matura senza lasciare irrisolti i propri sogni, e chi si dimena in viziati percorsi già tracciati dal “wildiano” Dorian Gray e Charles Bukowski. Nell’incomprensione di due vite ravvicinate, c’è un amore che chiede spazio. Imprigionato nell’aere stantio del retrobottega di uno dei tanti ristoranti etnici che affollano la grande città. Un amore che vuole la strada tutta per sé. Da scrivere nel continuo presente. È il mondo fatalmente malinconico di “One day” (2011). In una Londra che divide senza abusate ideologie passeggere, Emma (Anne Hathaway) e Dexter (Jim Sturgess) cercano la propria pace.

Il conseguimento della laurea avvicina due ragazzi. È il 15 luglio. Un giorno che rimarrà particolare nelle loro vite. Una mancata occasione di una notte di passione li renderà amici per sempre. Per lo meno nella testa di Dexter, belloccio capriccioso e lanciato in programmi televisivi di successo ma di scarso valore culturale (un Top of the pops trash, per intenderci), tra droga, lussi e vallette tutto sesso. Emma è diversa. Il cielo che sfreccia sopra di lei raramente mostra il sole. Tra un lavoro di ripiego e ambizioni di diventare una scrittrice nella bolgia della City londinese, è dolorosamente innamorata dell’amico. I due giovani continueranno a ritrovarsi in quella data dopo alterne fortune reciproche, crolli e storie sentimentali fallimentari, fino a un’inevitabile conclusione da happy end. Almeno così sembra. Perché il fato alle volte sa mietere tristezza anche quando tutto sembra dover volgere al giusto. La telecamera si sofferma bene sugli interni. I muri scrostati della piccola abitazione di Emma stridono nel confronto con il bancone gigante pieno di alcolici della villa di Dexter. È amabile e tenero invece il tentativo di Alison (Patricia Clarkson), madre morente che non si rassegna all’idea di vedere il proprio figliolo buttarsi via in penosi spettacolini. È spietato, severo ma mai definitivamente separatista, il giudizio di Steven (Ken Scott), padre del Dexter perduto. Emma è una Cenerentola a Londra. Un po’ (troppo) Andy Sachs, la stagista aspirante seria giornalista alla corte del guru della moda Miranda Priestly (Meryl Streep) nell’indimenticabile “Il diavolo veste Prada” (2006). È un po’ (ancora) Emma Allan, insicura sposina promessa di “Bride wars” (2009), dove ingaggia un duello senza esclusione di colpi con l’amica/nemica del cuore Liv (Kate Hudson). Lei è Anne Hathaway, abusata nel ruolo di brava ragazza anche dalla danese Lone Scherfig per il film One day (2011), la cui regia non regala nulla di nuovo su quanto già non si sapesse della brava attrice newyorkese. E allora applausi anticipati a Christoperh Nolan, che le ha tolto l’aurea candida da burtoniana regina bianca, e ha avuto il fegato di “ricoprirla” di lattice aderente per il ruolo di Catwoman nel “The Dark Knight rises”, di prossima uscita nel 2012.

Oltre le luci artificiali e una cucina di periferia da ridipingere, “One day” è un giorno speciale dove la campagna anglosassone, riscaldata da una luce impressionista, trova ancora la forza di amalgamare l’amarezza delle lacrime in un docile abbraccio di redenzione. Emma e Dexter. La loro zattera di fine orizzonte sventola la bandiera dei sentimenti incondizionati come unico baluardo contro gli errori della vita apparentemente senza ritorno. Forse un po’ troppo per affogare il tutto con una amichevole sbronza di ovomaltina.

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