Paradiso amaro: la recensione di aliasmike

ATTENZIONE: contiene spoiler sulla trama del film

Non c’è niente che ci devasti più del pensiero della morte, della perdita: quando una vita si spegne cerchiamo rifugio nei ricordi, sentendoci in dovere di esaltare le qualità del caro estinto, ricordandoci tutto il bene e dimenticandoci del resto.
Come comportarsi però, quando al capezzale del proprio coniuge si scopre che questi aveva un amante e progettava il divorzio?
E’ quello che accade a Matt King, avvocato hawaiano da troppi anni più dedito al lavoro che alla famiglia e che d’improvviso si ritrova da solo a crescere due figlie che quasi non conosce.
Come se non bastasse i parenti, eredi da secoli di una vasta e potenzialmente lucrosa proprietà (da qui il titolo originale del film “The Descendants”), gli alitano sul collo affinché lui, fiduciario della dote, prenda la loro parte in vista della riunione familiare, nella quale si deciderà se e a chi vendere il terreno.
Oppresso da questa insostenibile situazione, decide di andare in cerca del misterioso amante della moglie, desideroso di risposte che la donna non può più dargli: il viaggio sarà un’occasione per legare con le figlie e per prendere la decisione definitiva sul destino della proprietà familiare.

La nuova pellicola di Alexander Payne è un film complesso nella sua semplicità, dove le emozioni, soffocate dietro a una maschera di tranquillità, colpiscono più forte che mai.
Il personaggio di Clooney, fedele ai toni della pellicola, è intrappolato in una situazione che non crede di poter gestire e che lo soffoca: deve far buon viso a cattivo gioco, incassando le accuse del suocero che lo incolpa della morte della figlia, gestendo l’impazienza dei parenti e l’elaborazione del lutto delle figlie.

C’è un parallelismo tra il destino della proprietà familiare e il rapporto tra Max e le figlie: all’inizio del film Matt concorda coi familiari nel vendere il terreno, preferendo i soldi (come aveva sempre fatto) ai ricordi dell’infanzia, quando era solito andare a campeggiare nella proprietà. Sarebbero nati hotel, spiagge e luoghi da sogno la dove un tempo c’erano alberi e sterpaglie e Matt avrebbe contribuito alla visione da paradiso terreno delle Hawaii che ci viene offerta nelle immagini da cartolina. Ma come lo stesso protagonista dice nel monologo iniziale del film, quella è solo una facciata: le persone soffrono, tradiscono e muoiono lì come in ogni altro angolo del pianeta.
L’immagine che torna alla mente è quella della figlia maggiore Alex che, appresa la notizia delle reali condizioni della madre mentre fa un bagno in piscina, si nasconde istintivamente dallo sguardo di Matt, soffocando il proprio dolore sott’acqua.
Alla fine del film Matt, andando contro il volere della maggior parte dei suoi legati, non firma l’atto di vendita, mantenendo il controllo della proprietà: non è solo una vendetta nei confronti dell’amante della moglie, agente immobiliare che gestendo la vendita del terreno avrebbe ottenuto molte commissioni, ma una rivendicazione del valore della famiglia e dei ricordi, nella speranza di crearvene di nuovi un giorno, portandoci in campeggio la piccola figlia Scottie. Nel frattempo il viaggio intrapreso e le esperienze condivise li ha trasformati in una vera famiglia e Matt, liberatosi dai mille vincoli che lo opprimevano, trova il coraggio di perdonare la moglie per quello che ha fatto, dandole un ultimo commosso addio.
“Paradiso Amaro” è un film che racconta un dolore vero, sentito, profondo, provato non da personaggi che urlano allo schermo, ma da persone vere, semplici, tangibili nella loro ordinarietà; un film che non finisce coi titoli di coda, ma che vi accompagnerà fino a fuori dalla sala cinematografica; un film al quale la definizione di commedia va decisamente stretta.

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