Questione di tempo: la recensione di Andrea Facchin

Quando si parla di commedie romantiche inglesi, uno dei primi nomi che salta alla mente è quello di Richard Curtis, che nel corso della sua carriera (come sceneggiatore prima, come regista poi) ha portato sullo schermo pellicole che sono diventate veri e propri classici, da Quattro matrimoni e un funerale a I Love Radio Rock. In Questione di tempo, la sua ultima fatica, Curtis racconta la storia di Tim (Domhnall Gleeson), un giovane che ha ereditato dal padre la capacità di viaggiare nel tempo. Un potere straordinario, che il ragazzo decide di utilizzare per trovare la donna dei suoi sogni. Non un’amante qualsiasi, quindi, ma LA persona, quella con cui passare il resto della propria vita; il sogno si materializza, in una notte londinese, nella persona di Mary (Rachel McAdams), ma conquistarla non sarà facile: Tim dovrà cominciare a cambiare il passato prima di poter costruire il futuro che ha sempre sognato.

Questione di tempo è forse l’opera più matura di Curtis; è anche un film delizioso, che mischia la classica ironia british a una riflessione sul senso della vita e dell’amore, partendo da uno spunto narrativo vicino a tutti: chi, infatti, non avrebbe mai voluto riavvolgere il nastro della propria vita e rivivere un istante – o magari un intero giorno? Nonostante il film parli di viaggi spazio-temporali, comunque, non aspettatevi effetti speciali in stile J. J. Abrams, perché per far scattare la magia basta trovare uno stanzino dove rinchiudersi, chiudere gli occhi e pensare intensamente a dove e quando proiettarsi. Scelta significativa, che rappresenta al meglio il modo di fare cinema di Curtis, per il quale l’elemento più importante è sempre il racconto. Pochi al giorno d’oggi riescono a raccontare come lui una storia d’amore, in grado di far ridere e poi commuovere in un battito di ciglia. Le emozioni sono la benzina di un motore che viaggia alla perfezione, guidato da personaggi bizzarri ma profondi al tempo stesso: il protagonista, per esempio, ha la stessa goffaggine dello Hugh Grant di Notting Hill e, pur non possedendone il fascino, colpisce fin dalla prima scena. Perché Tim, “superpoteri” esclusi, potrebbe essere chiunque di noi: non è un nerd totale, ma nemmeno un Ryan Gosling; è un semplice e genuino eroe romantico che, aiutato dalle lezioni di suo padre (un Bill Nighy in versione saggio istrione), capisce sulla propria pelle che a creare il nostro destino sono le azioni che compiamo tutti i giorni, e che non ci sono viaggi nel tempo che tengano. La cosa più importante, in quel grande flusso che è la vita, è saper guardare le cose nella giusta prospettiva, dando loro l’importanza che meritano.

Non farà il boom di incassi dello Zalone nazionale, ma resta un film incantevole, da vedere, con una morale importante. E quando è il cinema ad insegnarti a vivere, il cuore si allarga a dismisura.

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Mi piace
La regia di Curtis, leggera e ironica nei momenti più comici e profonda e riflessiva in quelli più drammatici della storia: un’orchestra perfetta.

Non mi piace
Bill Nighy è talmente magnetico che vorresti fosse sempre in scena, e invece si ritaglia solo degli spezzoni (importantissimi, però, nell’economia della storia).

Consigliato a chi
Ai fan di Curtis, ma anche a chi cerca un film in grado di farti uscire dalla sala col sorriso sulle labbra.

Voto: 4/5

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