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Rachel: la recensione di loland10

Rachel: la recensione di loland10

“Rachel” (id., 2017) è il tredicesimo lungometraggio del regista sudafricano Roger Michell.
Di misura, di calcolo, di destino, di ambiguo, di scheletro, di aria, di oscuro, di colore, di ampio, di piccolo, di vasto, di arioso, di tetro, di fosco, di abbraccio, di amore, di donazione, di visto, di bosco, di schema, di perduto amore, di vita e di morte. Tutto sembra esserci in questo film in costume dove gli ambienti e certe sfumature corporee e naturali danno il gusto di un classico film. Certo che la baraonda di sensazioni inespresse, di contatti fustigati, di complessi fortuiti, di carni masticate, di candele accese e di stanze rabbuiate danno il gusto di un ‘sit-in’ in via ‘implosiva’ che chiudono le maschere già piene in ogni volto. Volti da piacevoli a disdicevoli, da cauti a incauti e lugubri. E il pasto di Natale con affogamenti di vino, mani sulle carni cotte, masticazioni salivari, unti ripuliti diventano un mondo funereo nascosto da luci naturali in un giorno di auguri a caso.
Lui: Philip ad un funerale del caro cugino Ambrose; andata e ritorno da Firenze alla Cornovaglia; la morte del suo parente a cui deve tutto cerca il capro espiatorio nella moglie Rachel. Il dente è avvelenato e la vendetta ri-bolle nel suo sangue.
Lei: Rachel cugina di Philip torna senza preavviso nella terra di origine. Una donna nascosta e chiusa che non vuole fare il primo incontro con Philip. In camera, rivolta verso una finestra, fuoco accesso, tutto in sottofondo oscuro, viso che si mostra in modo dimesso, qualche ruga che si apre al dialogo e il giovane della casata che ha un contatto nuovo. Tutto cambia da odio viscerale ad un amore inconsueto, pressante, oppresso e di fuga. Con accondiscendenze, rivalse, fughe, inseguimenti, pedinamenti e amore occasionale.
Enrico Rainaldi, lì in mezzo, tra i due, guerra aperta, passione, gelosie, amori nascosti, nulla si vede e nulla resta ad ogni gioco. L’invito a casa da parte di Rachel suscita di tutto nel giovane Philip: quello che decide è tutto per la sua amata cugina. Gli vuole dare tutto. Il testamento di un venticinquenne, un cavallo, la passione del vento, una scogliera che frana, il destino e la morte. E Philip che pensa e ripensa. Tutto sembra oscuro anche quello che riesce a vedersi.

Un film pieno di disgusti e di doppi dove ogni colloquio pare sovrapposto al suo contrario. Poi chi decide il destino di una persona? E’ vero che Philip ama lei o la vita smisurata di Ambrose? E Rachel acconsente per piacere passionale o vive sperando nell’altrui errore. Vita e morte in un buio continuo. Le candele che Rachel accende (una ad una) al primo incontro con Philp paiono luci spente di un amaro epilogo verso gli altro e sola con se stessa. Le tisane e i rancori vanno di pari passo.
‘Prepara la carrozza’ dice Philip …’Non ha saputo niente, padrone, è partita stamattina presto…’.
Ecco nel semplice dialogo di un giorno da ricordare, il compleanno e l’attesa di un amore ricambiato, la natura si spoglia di tutto e il viso rimane solo tra vegetazioni colte e silenzi abissali.
Il verde, il fruscio, la luce flebile, il grigio delle onde, neve e pioggia, finestre colpite dalla pioggia e voci urlanti che attutiscono ogni passione finita.
Rimorso e avidità, rifiuto e denaro; Amore infausto tra accadimenti sconosciuti e mai incontrati; Colpe e amarezze, una donna intristita e sorridente, lignea e amorevole, pronta e disdicevole, sessuata e incauta, bastonata e arrabbiata. Ho colpe forse, ho parole da cancellare, ho pensieri che non dovevo, ho forse sbagliato qualcosa. Philip e tutto quello che ritorna. E tornare al suo senza tisane addormentanti e veleni. Leccarsi le ferite quando la carrozza trasporta il presente in passato rigurgitante.
Tratto dal libro ‘Mia cugina Rachele’ della scrittrice londinese Daphne du Maurier (che già aveva avuto una trasposizione cinematografica nel 1952 con la coppia Olivia de Havilland – Richard Burton) il film non svela il tutto, misteri e intenzioni restano nell’ombra sempre o quasi sempre: pieno di masturbazioni psiche forti, dove ogni gesto sembra compresso e inespresso, e dove ogni scena non chiude nulla.
Rachel Weiz (Rachel Ashley) dona alla sua interpretazione un’oscurità mistofelica; Sam Claflin (Philip) regge abbastanza bene il passo. Da ricordare la ‘fugace’ comparsa del bravo Pierfrancesco Favino (Enrico Rainaldi) che ha il tono giusto all’entrata, forse un po’ meno quando si mette a tavola.
La regia efficacemente didascalica e oscuramente sorpresa.
Voto: 7/10. (***).

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