Rush: la recensione di aleotto83

L’epica ricostruzione della rivalità tra i due piloti di Formula Uno Niki Lauda e James Hunt durante l’infuocata stagione 1976 diventa il pretesto per un confronto universale sul filo che separa la passione e la morte.
Il regista Ron Howard, in coppia con lo sceneggiatore Peter Morgan firma questo film dai toni superbi, il più riuscito della nuova stagione cinematografica, riuscendo a ricostruire un’epoca e i suoi ritmi in maniera quasi maniacale, con una sintesi umana e sportiva che riesce a raggiungere anche chi non ama necessariamente il circo dei motori, o il cinema d’autore. Lo spettatore rimane estasiato perché si appassiona a queste due personalità opposte, il fin troppo scanzonato pilota britannico Hunt, istintivo e donnaiolo, in lotta con l’austriaco Lauda, talmente razionale da risultare cinico e poco simpatico, e poco gli importa se alcuni aspetti dei loro caratteri sono enfatizzati per ragioni narrative, in entrambi riesce a percepire le diverse ragioni per le quali stare al mondo e inseguire la morte a duecento chilometri all’ora.
Le prestazioni attoriali dei due protagonisti non potrebbero essere migliori, sia Chris Hemsworth che Daniel Brühl ritraggono due persone vere che continuamente tentano di sorpassarsi ed affermarsi e lo fanno in maniera sofferta, non vi è nulla di superficiale nella parabola umana che ci viene narrata e sebbene la trama sia ben nota, è nella leggenda sportiva, Rush crea una tensione che ci accompagna ad ogni curva, ci vuol far provare quel brivido, l’ebbrezza che il titolo richiama.
Ciò che valorizza il film è la minuziosa ricostruzione dei dettagli: l’atmosfera degli anni settanta, i colori vividi, le immagini televisive, naturalmente le auto e ogni minimo aspetto tecnico sono resi splendidamente, sembra di fare davvero un salto in quel tempo vicino che già sembra lontanissimo.
Ci sarebbero tante altre parole enfatiche da spendere a proposito della colonna sonora rock che forma un connubio irresistibile con il rombo assordante dei motori, fino al finale che sa commuovere soltanto col racconto in prima persona, ma certe emozioni non sono facili da spiegare, come capire che in fondo anche due voci dissonanti sanno dar vita ad un solo grande racconto.

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