Sagràscia: la recensione di Paolo Sinopoli

In una Sardegna incontaminata, il piccolo Antoneddu, un bambino di dieci anni, s’incammina lungo le strade polverose e suggestive della campagna per raggiungere la chiesa di S. Antonio e ringraziare così il santo che gli ha salvato la vita. Ma il cammino gli riserva incontri inaspettati, dove sogno e realtà si fondono in un delicato ritratto di un mondo dal sapore antico. Il film non segue una trama lineare e strutturata, ma è piuttosto un tentativo di esprimere stati d’animo e raccontare brevi storie fatte di gesti e di sguardi intensi. Follia, delicatezza, violenza e generosità regnano sovrane nelle terre bruciate delle campagne sarde, impedendo allo spettatore di distinguere ciò che è reale dall’immaginazione del piccolo protagonista. La regia di Bonifacio Angius, qui al suo esordio in un lungometraggio, è estremamente curata e riesce a catturare perfettamente le atmosfere surreali del film, forse esitando un po’ troppo sui particolari della natura e sui volti degli attori. A impreziosire questa pellicola sono anche le toccanti musiche originali di Carlo Doneddu, che fanno da sfondo al film amalgamandosi alle immagini senza sbavature. Come quando Antoneddu resta a bocca aperta nell’ascoltare una musica di altri tempi suonata e cantata da alcuni gitani in un bosco. Sagràscia resta un film tecnicamente ben fatto e ricco di richiami estetici che guarda a maestri come Federico Fellini.

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Mi piace:
Le musiche curate e una fotografia delicata che fa rivivere il sapore della campagna sarda.

Non mi piace:
Gli strani incontri che costellano il viaggio del piccolo Antoneddu sono troppo slegati tra loro, disorientando lo spettatore.

Voto:
3/5

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