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Snoopy & Friends – Il Film dei Peanuts: la recensione di Andrea Diatribe

Snoopy & Friends – Il Film dei Peanuts: la recensione di Andrea Diatribe

“Peanuts”, ovvero “noccioline”, è il nome di una striscia a fumetti, creata dalla matita e penna di Charles Monroe Schulz, che, quotidianamente, per quasi cinquant’anni – dal 2 ottobre 1950 al 13 febbraio 2000 – è apparsa sui quotidiani di tutto il mondo, e che ancora tutt’oggi viene ristampata da numerosi editori. Basta dire i nomi Charlie Brown e Snoopy che subito vediamo l’immagine del bambino timido, introverso, con l’inimitabile ciuffetto, e il suo fedele bracchetto: abitano un mondo “a misura di bambino” in cui i piccoli fanno da padrone, e gli adulti non sono mai mostrati e sono solamente voci che provengono dal fuori campo.
Dopo numerosi cortometraggi e i lungometraggi tratti dalla striscia a fumetti, è arrivato nelle sale cinematografiche il primo film in CGI: “Snoopy & Friends – Il film dei Peanuts”, voluto dal figlio del compianto Schulz, Craig, e dal nipote Bryan che ha scritto la sceneggiatura. Alla regia c’è Steve Martino, che ha già diretto “L’era glaciale 4” e “Ortone e il mondo dei Chi” (entrambi della casa di produzione Blue Sky Studios, che ritorna qui per i “Peantus”).
A livello stilistico questo film riesce a mantenere integro il mondo disegnato da Schulz, gli fa omaggio, rendendolo appetibile anche alle nuove generazioni e mantenendo il fascino che ha contraddistinto i personaggi e le loro avventure, senza snaturarli, pur utilizzando la computer grafica, e miscelando bene un 3D alla bidimensionalità caratterizzante le strisce a fumetti: basti dire che Steve Martino e i suoi collaboratori hanno trascorso più di un anno a studiare lo stile di disegno del papà di Charlie Brown e soci.
Ritroviamo quindi tutti i personaggi, le situazioni e i luoghi che gli appassionati ricordano bene: lo sfortunato Charlie Brown col suo malessere esistenziale, le sedute psicanalitiche di Lucy, i siparietti di Snoopy e l’uccellino Woodstock (nel film il beagle è il protagonista di una sua storia battuta alla macchina da scrivere in cui si immagina di combattere contro il famoso aviatore, il Barone Rosso, per tentare di conquistare il cuore della cagnolina Fifi), l’albero mangia-aquiloni, Schroeder e il suo pianoforte, Linus e la sua inseparabile coperta, senza dimenticare il pattinaggio sul ghiaccio, l’hockey e le partite di baseball, anche se sono solo accennate.
Se lo stile viene ripreso fedelmente, i contenuti e i temi delle tavole a fumetti vengono alleggeriti di quel pessimismo di fondo, di quella filosofia miscelata all’ironia che ha fatto la fortuna dei “Peanuts”, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Charlie Brown, nel film impegnato a dare una svolta alla sua vita per riuscire a conoscere la ragazzina dai capelli rossi (che qui viene mostrata, a differenza del fumetto che è solo citata) di cui si è innamorato. E, sì, alla fine Charlie Brown diventa l’eroe della situazione, viene riconosciuto socialmente, cosa che nei fumetti non avviene mai, e l’unica cosa che Schulz ci vuole dire è di rimanere ancorati ai propri sentimenti, di rimanere fedeli ai propri ideali anche se utopici, di vivere la quotidianità, apparentemente senza alcun senso, rimanendo insieme agli amici.
Quello che c’è di buono, anzi, ottimo in questo film è la comicità slapstick e l’ironia genuina ripresa da Schulz, che si oppone a quella stupida, infantile e fracassona degli esserini gialli – permettetemi adesso un’incursione in prima persona in questa recensione: sì, sto parlando proprio dei minion, eloquente sintomo di una comicità d’animazione sempre più banale e che, almeno per me, non fa realmente ridere e che è solamente fine a se stessa.
Ci vogliono più film di questa genuinità, semplicità e che ci riportano al vero significato dell’animazione: narrare storie apparentemente semplici, facili, ma che vogliono avere la funzione di dirci qualcosa in più sulla vita, di farcela conoscere quasi meglio di quando la si vive, facendoci sedere al cinema insieme ai nostri figli, senza la paura di vedere sullo schermo accozzaglie di scorregge e pernacchie, che alla lunga diventano banali, e stufano, facendoci capire che queste “volgarità” non devono diventare un luogo comune dell’animazione e che possono essere evitate per non fare abituare il pubblico dei piccini a ridere solamente con esse.

Voto: 3/5

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