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Stanlio e Ollio, la recensione

Un biopic crepuscolare e commovente su due dei comici più amati di sempre

Stanlio e Ollio, la recensione

Un biopic crepuscolare e commovente su due dei comici più amati di sempre

Stanlio e Ollio: la recensione
PANORAMICA
Regia (3)
Interpretazioni (4.5)
Sceneggiatura (3.5)
Fotografia (3.5)
Montaggio (3)
Colonna sonora (2.5)

Stan Laurel (Steve Coogan) e Oliver Hardy (John C. Reilly), alias Stanlio e Ollio, i due comici più amati sulla faccia del pianeta, partono per una tournée teatrale alla volta dell’Inghilterra del 1953. La stagione d’oro delle loro comiche è ormai alle spalle, gli spettatori latitano, le ombre e le incertezze sul futuro si fanno sempre più fosche e opprimenti. Il loro legame, cementato da anni e anni di sodalizio artistico e privato, riuscirà ad andare oltre i fantasmi dell’invecchiamento e della stanchezza, umana, fisica, professionale?

Muove da questi interrogativi e atmosfere Stanlio e Ollio, film di Jon S. Baird che riporta in vita due mostri sacri della comicità di tutti i tempi soffermandosi sul dietro le quinte delle loro esistenze. Sul declino di due icone tatuate nel cuore del pubblico, perfino sulla genesi delle loro gag, delle quali ci viene mostrato spesso e volentieri il backstage quotidiano e ordinario. Con le loro trovate che sembrano nascere puntualmente da una folgorazione quasi casuale, un lampo improvviso, una miccia buffa e un po’ ridicola, ma sempre sul punto di prendere fuoco.

La naturalezza e la poesia di questa coppia, basata su un contrasto fisico elementare, quello tra il mingherlino e il grassone, rivive in un’operazione commovente e sentita. Un film che sa bene come restituire e prolungare l’incanto dei personaggi, la magia di una coppia senza tempo, i tocchi bambineschi e candidi di un umorismo basico e per tutti, che sapeva coniugare il rimbambimento e la fisicità, la vena slapstick e quella cartoonesca.

Il desiderio e l’afflato sono decisamente filologici (ben venga) ma anche sentimentali, con  un pudore che smussa la retorica e un realismo nel disegno psicologico che si tiene alla larga dalle semplificazioni. Si raccontano anni malinconici, in cui il legame tra i due non è più inattaccabile come un tempo e bisogna ricominciare a conoscersi. Ed è la strampalata, immane bravura dei due interpreti, su questo campo d’azione, a fare letteralmente la differenza.

Le ferite personali del più riflessivo Stanlio di Steve Coogan, sublime nelle paralizzate smorfie di tristezza, sono infatti opposte ma complementari a quelle più rozze del frettoloso e approssimativo Ollio di John C. Reilly. Eppure i due attori pensano, agiscono e vivono sulla scena come un corpo solo, come fossero un’entità unica, proprio come Stan & Ollie a loro tempo.

Non era affatto semplice restituire tale vicinanza, l’incantesimo di una sinergia tra due uomini che si scoprono puntualmente inadeguati e improbabili e proprio per questo inscindibili, praticamente finché morte non li separi. Ancorati l’uno all’altro tanto nell’empatia della scena da condividere quanto nell’odio malcelato verso i produttori. Per non parlare dei veleni privati e delle ripicche personali, delle schermaglie tra le rispettive mogli, delle baruffe più o meno gratuite e delle gelosie più sprezzanti – di Stanlio – verso Harold Lloyd o Charlie Chaplin, capace di mettersi in proprio e fare la differenza.

In questo valzer di strizzate d’occhio, ora minuziose ora deliziose, non resta che abbandonarsi al piacere appagante e rigenerante del biopic classico, che bagna gli occhi senza fronzoli e svolazzi. Di sicuro ripulito, senza ombra di dubbio convenzionale nella confezione, ma con una tale precisione negli effetti e negli affetti da sciogliere ogni riserva.

Tant’è che l’unica ombra che resta impressa nella mente e nel cuore, mentre il sipario si chiude per l’ultima volta e tutto scolora, è quella, inequivocabile e lunghissima, del Mito.

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