Stone: la recensione di Eddie Morra

Chi è Gerald Creeson, detto Stone? “L’esperienza del suono è devastante per chi la vive.
La vita riprende freschezza e vigore attraverso… l’individuo raggiunge il perfetto culmine metafisico, e si trasforma in una specie di diapason di Dio”.

Stone è stato condannato per aver ucciso i suoi nonni e averne poi bruciato i corpi. Dieci anni di condanna, lui ne ha scontati otto. Il suo agente di sorveglianza a cui è stato affidato, esamina il suo caso.
Gioco pericoloso dove le anime ardono in fretta, avvinghiate dal respiro decoagulante del desiderio, della bramosità tentatrice di una donna “aliena”, Lucetta, e di Madylyn, fervente religiosa, già “anziana” prima di nascervi.
Dove la spiritualità assume gli sfocati lineamenti di vite che hanno perso la strada.
Quale uomo si nasconde dietro la maschera di Jack Mabry, tutore della legge e osservatore scrupoloso dei rituali episcopali?
L’agghiacciante uomo peccatore su cui calerà impietosa la vendetta divina, nel tormento di un’esistenza grigia che virò in un tragico errore?
E Stone confessa la verità? E’ davvero redento?
Gli occhi senza Tempo di Frances Conroy allo svanire dei sogni di alleata fedeltà romantica coniugale, vetri nel vuoto di una resurrezione sopita.
L’animale Lucetta, donna camaleonte che plagia e circuisce da “maga” Circe uomini deboli.

Film abrasivo, nella turgida fotografia malinconica di Maryse Alberti, diretto con stile freddo da John Curran, regista nei misteri mutevoli delle umane colpe.
Film che si cadenza con “noiosa” lentezza, ribadendosi più volte, alla ricerca mai esaustiva di un finale accennato, dissolto in improvvisi titoli di coda, a oscurare i destini dei protagonisti.
Stone cammina “rinato” dopo aver esperito nel dolore una parabola quasi liturgica di salvazione, Jack è ora “libero”, a pezzi nello sfascio di ricordi che non ci sono più, forse non ci sono mai stati.
Mai destati.

(Stefano Falotico)

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