Super 8: la recensione di Gabriele Ferrari

J.J. Abrams l’aveva detto: Super 8 sarebbe stato il suo omaggio alla Amblin Entertainment (che infatti qui produce) e ai film di avventura degli anni ’80, da E.T. a I Goonies. Quello che non ci si aspettava era un’opera di mimesi così perfetta da risultare indistinguibile dagli originali.

Tutto in Super 8 profuma di America reaganiana, dall’ambientazione nell’obbligatoria piccola città di provincia – Lillian, Ohio, che potrebbe sorgere nel Maine tanto sa di Stephen King – ai protagonisti, tredicenni nerd impegnati nella realizzazione di uno zombie movie amatoriale. La colonna sonora che va da My Sharona agli Chic, il poster di Halloween appeso in camera di uno dei protagonisti, il walkman che “è come uno stereo che ci si può portare in giro”: Super 8 è un film cristallizzato in un tempo che, calendario alla mano, non dovrebbe essere il suo. Persino gli straordinari effetti speciali, questi sì figli del ventunesimo secolo, non stonano: quando Carlo Rambaldi diede vita a E.T. nessuno aveva mai visto al cinema un alieno così credibile, e allo stesso modo la creatura di Abrams, motore dell’intera vicenda, è oggi lo stato dell’arte.

Paradossalmente, è la perfezione del ricalco a essere la forza di Super 8 e insieme il suo punto debole. I protagonisti sono talentuosi (scommettiamo sul futuro di Elle Fanning?), la sceneggiatura oscilla tra romanticismo à la Stand By Me e complottismo sci-fi, il pasticcio di generi – dall’action all’horror alla commedia – non perde mai coerenza e le emozioni di ogni tipo abbondano; detto in due parole, il film è formalmente inattaccabile. D’altro canto, lo sviluppo della storia è lineare, già visto e prevedibile, il tema centrale (l’innocenza dell’infanzia e la sua perdita) esplorato ai limiti dell’abuso, il finale talmente telefonato da risultare rassicurante. Certo, lo stesso si poteva dire di E.T., Incontri ravvicinati del terzo tipo e I Goonies. E allora più che valutare Super 8 secondo i canoni di oggi occorre domandarsi se valga la pena fare un salto sulla macchina del tempo e supportare un film che, pur se di qualità assoluta, non dovrebbe avere alcun diritto di cittadinanza nel 2011.

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Mi piace
Il senso di nostalgia che pervade ogni scena. L’interpretazione dei protagonisti.

Non mi piace
L’omaggio che diventa déjà vu. Una scena clou nel finale che stona con il resto del film.

Consigliato a chi
Ai fan di Abrams, di Spielberg, della sci-fi classica e, più in generale, del bel cinema (pur se sospeso tra passione e mestiere).

Voto: 3/5

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