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Terminator: Destino oscuro: la recensione di Mauro Lanari

Terminator: Destino oscuro: la recensione di Mauro Lanari

1) Un altro franchise cinematografico rovinato dalla correttezza politica, e in questo caso: la guerra contro l’IA persa per la PC. Please, terminate Terminator. Grazie T-1000.
2) Sequel, prequel, reboot: perché i CEO delle major hollywoodiane non sono più dei creativi ma dei manager? Per garantirs’il profitto con la “fidelizzazione da sag[r]a”. Però anch’il troppo storpia e l’ending sempr’aperto assicurato dalla differenziazione delle timeline (l’unica ricaduta pratica fin qui attestata del pluriverso cosmologico) deciderà del destin’oscuro di tali ciofeche a seconda del raggiungiment’o meno dell’agognato BEP (break-even point). Per adesso questo è un flop, m’auguro che gli si moltiplichino e finalmente collassino. Magari per lasciar spazio a qualcosa d’addirittura peggiore.
3) Qui c’è un’aggravante: Cameron è uno di quegl’autori che ha sempre ambìto a fare cinema teologico, dall’apocalittica dei primi due “Terminator” all’ecclesiologia di “Titanic” (mentre la Barc’affonda, ci si salv’aggrappandosi al “lignum crucis” del martirio di Lui [il Nazareno]), dal millenarismo di “The Abyss” al neoebraismo di “True Lies”, dall’aquarianesimo d'”Avatar” (“Na’vi” o “Navi”, singolare di “Nevi’im”, il nome ebraico per “profeti”) e adesso alla Trinità femminile, la Triple Goddess della Wicca, l’esautorazione del maschio e non la pariteticità o il comune trascendimento (“Il futuro è donna”, Ferreri 1984). L’unica penetrazione è lesbo (la Messia ch’entra nella carne di Grace affinché il suo martirio ricad’a beneficio dell’umanità intera), mentr’i maschietti fallocratici si sbriciolano in fondo a un pozzo. Eppure se dall’idea d’una soteriologia sacrificale non ci si schioda d’uno iota, tanto valeva non inventarsi un’ulteriore variazione s’un tema dimostratosi fallimentare.

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