The Divergent Series – Insurgent: la recensione di Mauro Lanari

La saga d'”Hunger Games” ha adattato “Battle Royale” per farne un nuovo genere narrativo prim’ancora che cinematografico: il racconto di formazione per ragazze calate in contesti maschili, la giovan’eroina che si ribella a una realtà distopica. A parte ciò, Katniss mi provoca l’orticaria, mentre fra i molteplici epigoni da “The Giver – Il mondo di Jonas” a “Maze Runner – Il labirinto”, la Tris di Shailene Woodley ha un appeal paragonabile sol’a quello della Viandante di Saoirse Ronan in “The Host”, e per una ragion’al contemp’estetica ed etica: entrambe propongono non il superomismo militaresco alla “Soldato Jane” per young adult, m’al contrario l’esaltazione delle peculiarità femminili. “Divergent” è la summa di tutte le qualità, Candidi, Pacifici, Eruditi, Abneganti, Intrepidi, tuttavia la forz’e il coraggio di Tris suonano fasulli nei momenti action con una pistola (o un arco) in mano. Le armi femminili son’altre e non agl’antipodi col fine da raggiungere: la sua dolcezza è imprescindibile e s’esprime a ogn’occasione. La scena amorosa col Tobias/Quattro di Theo James viene risolta con una zip che s’apre e dissolvenz’immediata. Un pudore tanto più meritorio quanto più alla belligeranza esterna sia inter ch’infragenerazionale (i nemici non sono schierati solo fra gl’adulti ma pure fra i coetanei) s’aggiungono dissidi e dilemm’interiori. L'”omnia vincit amor” dovrebb’essere lasciato a Virgilio e Caravaggio e negato come modell’odierno? Troppo poco guerrafondaio, troppo poco sparatutto videoludico, troppo poco pulp tarantiniano? Alleluja. Ben vengano queste novelle Beatrici dantesche.

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