The Judge: la recensione di Donato Prencipe

Nelle sale italiane è uscito lo scorso 23 ottobre, si tratta di “The judge”, la pellicola firmata da David Dobkin (Due single a nozze), al ritorno dopo tre anni circa dietro la macchina da presa. Il suo lavoro in questi anni si è concentrato molto di più ad imbastire sceneggiature per commedie “spensierate”, ma non certo così originali da lasciare il segno nella storia del cinema. Si avvale di un grande cast ed in particolar modo di due attori da urlo, infatti il regista di “Due cavalieri a Londra” ingaggia due cavalieri del cinema hollywoodiano, ovvero Robert Downey Jr.(Iron man) e il premio oscar Robert Duvall (Il padrino). La storia li vede uno di fronte all’altro nel ruolo di padre e figlio, giudice e avvocato, in urto da quasi una vita, senza più vedersi, fino a quando un tragico evento segna il rinnovato incontro tra i due. Robert Downey Jr. dunque lascia i panni del supereroe per entrare in quelli di un famoso avvocato di città, Hank Palmer, costretto a tornare nel piccolo paese dell’Indiana dov’è cresciuto a causa della scomparsa prematura della madre. Qui dovrà fare i conti con il passato e non solo, quel passato dal quale era fuggito via per non finire inghiottito dalla vita molto semplice e abitudinaria di un piccolo paese e soprattutto dal rapporto controverso con il padre. Quest’ultimo che ha il volto e la bravura di Robert Duvall, viene accusato di aver ucciso un uomo e quindi sarà compito del figlio in tribunale ricacciare queste accuse al mittente. L’avvocato accusatore, un osso duro tutt’altro che sprovveduto è interpretato da Billy Bob Thornton (Monster’s ball) che cercherà in tutti i modi di mettere Palmer padre e Palmer figlio di spalle al muro. Il cast è compleatato da Vincent D’Onofrio (Law and Order serie tv) che recita la parte di uno dei due fratelli di Hank e da Vera Farmiga (Tra le nuvole) che interpreta il ruolo di una sua ex fiamma che si riaccenderà di colpo dopo anni di lontananza. I presupposti per assistere ad un bel film ci sono tutti peccato però che vengano spazzati via dai soliti clichè del cinema americano intriso di aule di tribunale e sentimenti melensi che nascono e muoiono ad ogni battito di ciglia. Il tutto si riduce a rendere il film un drammatico spot dei buoni sentimenti e del proprio paese nativo, troppo spesso abbandonato per città più redditizie.

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