The Lazarus Effect: la recensione di Mauro Lanari

Scontato quant’un 3×2 alla Coop, storia già raccontata, a seconda dell’eta del fruitore, da King al quintetto di studenti all-star di “Linea mortale” (1990) alla Shelley di “Frankenstein” (1818), ennesima fondamentalista condanna dell’hýbris demiurgico-prometeica. 13% su RT e 3,8 di media voto, la cui giustificazione fornita è però più ridicola del film stesso: “The Lazarus Effect ha […] il barlume d’un’idea interessante…”. Genial’allora pure l’idea di chiamare “13”, aka Olivia Wilde, Zoe (su Pedia italiana si può leggere la differenza fra ζωή e βίος). L’infimo & infam’esordio di Gelb è un low-budget (3,3 milioni di dollari) girato in un laboratorio (non c’è un esterno) dov’i personaggi fanno sempre la scelta o l’azione più idiota (thanks to the script) e il caos esplicativo regn’incontrastato: fenomeno scientifico (la DMT – dimeltriptamina – endogena rilasciata dall’encefalo in punto di morte); no, inelaborato trauma psicologico infantile; no, escatologia soprannaturale cristiana; no, parapsicologia/paranormale cronenbergiano (thanks again to the script). Un horror che può impaurir’a malapena chi ha meno di 14 anni, solo ch’al contrario la censura ha posto come divieto proprio quel limite d’età. Potev’andar peggio: dur’appena 83 minuti.

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