The Visit: la recensione di loland10

“The visit” (id., 2015) è l’undicesimo lungometraggio del regista di origine Indiana M. Night Shyamalan.
Una settimana di spasso e di riposo per due adolescenti nella casa dei nonni è quasi l’ideale. Per conoscersi, divertirsi e imparare chi sa quante belle cose. Tutto finisce qui prima di iniziare.
L’ultimo film di Shyamalan (a basso budget…dopo qualche tonfo) ritrova la verve e lo stile non sempre centrato e avvistato nelle sue ultime pellicole (come per dire non mi finanziate nulla… e vi spiazzo con riprese di basso profilo che possono raccontare un ‘piccola’ storia).

Tempo da neve, campagna dimessa, colori sbiaditi, casa isolata e ragazzi euforici per una visita ai nonni nella lontana Pennsylvania. Tutto in una settimana, pochi fronzoli e molte riprese per far divertire i rampolli di una mamma lontana.

Ho tanto da imparare dai vecchi nonni per delle belle riprese fai da te, interviste esclusive e cibo addolcito per una buona colazione: Rebecca e Tyler si adornano di pensieri fantasiosi, di canti rap, di cinema ridotto e di luoghi spenti.

Escandescenze strane di Doris, sonnambula, grida di notte, è svestita, cammina per la casa mentre John riporta a letto la moglie, cerca di spiegare ma nasconde qualche strano segreti nella capanna. Un luogo di silenzio e di rifiuti da defecare. Una strana coppia che i ragazzi decidono di riprendere in segreto.

Vedere dentro il mistero di una casa che non conoscono e i due ragazzi passano dal rap al thriller, dalla ripresa gioiosa a un’indagine schizofrenica, dalle domande a nessuna risposta, dai nonni sconosciuti a due vecchi orribilmente saccenti. Meno male che c’è la web-cam e la mamma disconosce gli allegri aezilli pazzoidi e fuori di testa.

Il sogno della bella vacanza è breve, istantaneo. Alla sera si va a dormire presto e John sente le palpebre abbassarsi alle poco dopo le nove. I fanciulli rimangano storditi e la notte dovrebbe portare consiglio, invece solo incubi e sonno arretrato. Doris è una strega sui generis che ci vuole sorprendere con un grido ‘abbagliante’ verso la camera (nascosta) dei due ‘baby’ investigatori.

Shyamalan apre la scatola dei ricordi e guarda con occhio disincantato l’horror di profilo basso con alter-ego frapposto ai suoi piccoli incubi. Remota e recondita ogni sorta di una colpa mal assortita e di uno sciocco imperativo gusto della presa in giro. Tutto sembra impastato di luoghi risaputi e già conosciuti: il punto di vista cambia (dai ragazzi) ma il testo misero non ‘rallegra’ oltremisura i fan di un ‘truculento’ finale posticcio (per di più) omaggiato da un fuori onda (rap) che Tyler ci vuole propinare ad ogni costo.

Il soccorso di mamma non arriva, la paura fa novanta e il ‘non mi sei piaciuti’ di Doris fa rabbrividire il viso del ‘nipote’ che non si fa vedere. E così la vista della camera adolescenziale diventa ripresa del regista che accumula il sogno per un incontro alquanto prevedibile(issimo).

Tutto finisce come doveva finire e le luci blu in lontananza accomodano i registi in ansia per un remake sull’argomento fino a quando si vuole grattare il barile. In fondo alle scale di una cantina nascosta manca il brivido ‘feroce’ di un Freddy Krueger che ha avuto ben altro da fare.

Shyalaman confeziona un film a doppio giro tra ironia cruente e allegorico mondo dell’horror infantile. Ragazzi per scherzare, mondi che si incontrano non benissimo per un film che si può sorbire senza una (giusta) paura fobica. In questi frangenti il trash è una sottile linea che si può passare e il dono del corpo ‘flaccido’ di Doris che ignuda balla-i-brividi-notturni segue con stile il gusto di oltrepassarlo.
Voto: 6½/10

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