The Way Back: la recensione di Scoop

Film del 2010 uscito nelle sale italiane solo in questo periodo. Direttamente dal genio poliedrico di Peter Weir un film storico animato dalla coralità dei sentimenti dei protagonisti in un viaggio da un gulag in Siberia, dove sopravvivere è una forma di protesta e vivere è una punizione, fino ai margini della libertà in India. Tratto da una storia vera:sei prigionieri, condannati ai lavori nel campo, colgono l’occasione per fuggire e cominciare un cammino di speranza e di nuova vita riassaporando la natura, gli affetti, i sentimenti e l’umanità che la guerra, la fame e la morte avevano soffocato in loro, disumanizzandoli. Sebbene le musiche siano scarse le scene forniscono un ritratto efficace della condizione di vita nei gulag, del freddo e degli stenti, del lavoro in miniera, della pressione psicofisica a cui i condannati erano sottoposti (Janusz ha un’allucinazione in maniera: la mensola di casa sua su cui è poggiata una pietra sotto la quale si cela la chiave per aprire la porta. Questo è l’elemento-chiave e il nodo cruciale attorno al quale si svolge e si risolve il conflitto d’affetti tra lui e la moglie che, sotto tortura, l’aveva denunciato come nemico del Partito).
Janusz (Jim Sturgess) vuole ritornare a casa per perdonare la moglie e fino alla fine della guerra deciderà di andare avanti nonostante tutto, Valka (Colin Farrell) è un fuorilegge che non sa cosa farsene della libertà e perciò al confine con la Mongolia deciderà di proseguire per conto proprio, Mr. Smith (Ed Harris) è un vecchio all’apparenza burbero che rimprovera Janusz di essere troppo gentile con gli altri prigionieri (“La gentilezza ti uccide qui”), Irena è l’unica ragazza del gruppo e proprio grazie alla sua radiosità i quattro uomini del gruppo rimasti ritroveranno le radici della loro umanità che il freddo della Siberia sembrava avere congelato in loro. I protagonisti sono distanti ed uniti tra loro allo stesso tempo: ognuno segue i propri ritmi, le proprie emozioni, sebbene lavorino insieme per la sopravvivenza, come un branco. Il processo di ri-umanizzazione è lento e ostacolato da una natura matrigna che tra il freddo della Siberia e il deserto del Golbi uccide uno ad uno i più deboli, come una selezione naturale.
Peter Weir dipinge paesaggi desolati senza l’ausilio di riprese particolari, nè di musica, ma attraverso la perfetta recitazione dei personaggi e la loro stanchezza nel ricercare non solo la sopravvivenza, ma il proprio spirito di uomini, che non degenera mai in avvilimento, probabilmente perchè il desiderio di vita trionfa sempre su quello di morte.
Le ultime scene mantengono fede alla promessa fatta da Janusz: andare avanti e imprimere i propri passi sulla storia per giungere alla porta, alla pietra, alla chiave e di nuovo alle emozioni che dominavano la pace prima della guerra.
The Truman Show- Truman verso la libertà
Con The Truman Show Peter Weir propone un protagonista cresciuto in un mondo artificiale e falso, creato esclusivamente dagli uomini; con The way back mette in scena l’uomo nel suo ambiente primordiale, come per paragonare due forme di lotta diverse e due ricerche di libertà opposte, quella contro l’opprimente società e quella contro l’opprimente natura.

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