C’è stata una guerra che gli americani vogliono dimenticare. E come tutti possono facilmente intuire stiamo parlando della guerra in Viet Nam, una guerra che ha visto il sacrificio di moltissimi giovani americani, ritenuto inutile per la maggior parte dell’opinione pubblica del tempo. L’America ha ricordato i fatti e l’insensatezza di quella guerra più e più volte in vari film, che sono poi stati cult della cinematografia a stelle e strisce. Ma anche noi italiani abbiamo una guerra che vorremmo dimenticare, una guerra che è stata considerata sporca ed inutile anche dal nostro popolo, e che spesso oggi si tende sempre di più a dimenticare, specie tra le nuove generazioni. E’ la “Grande Guerra” quella combattuta tra il 1914 ed il 1918. Ed è proprio questo evento a fare da sfondo all’ultimo lavoro del regista Ermanno Olmi. Siamo nel Nord Est italiano, in una trincea, molto vicina ad un avamposto austriaco, nemico presente, ma invisibile per tutta la durata del film.
Non c’è altro da dire sulla trama del film, non c’è azione, non c’è un plot complicato, quello che emerge dal lungometraggio del regista italiano è lo stato d’animo dei vari soldati, che combattono contro un nemico invisibile, ricevono ordini da persone che stanno al caldo delle loro stanze di potere, ordini anche folli. Questi uomini vengono mandati al macello, e sono stremati, segnati e indeboliti da una guerra forse insensata, che all’Italia ha portato più vittime che vantaggi.
La truppa sarebbe una moltitudine di semplici soldatini se non fosse per le lettere, quella posta che è l’unica occasione in cui ognuno di loro cessa di essere un semplice soldato e diventa una persona, con nome e cognome (ripresi anche dalle inquadrature del film per dare un maggior tratto distintivo ai personaggi). Il silenzio è quasi sempre imperante, quel silenzio di un’attesa morbosa, l’attesa dell’arrivo del nemico, che se all’inizio è interrotto dal canto di uno dei soldati, più avanti viene stoppato più volte dal rumore dei mortai lanciati dai nemici, quel rumore che in nessun altro film di guerra avevamo sentito così forte, così invadente, tanto da sembrarci vero, reale, presente accanto a noi.
La colonna sonora è molto ben articolata, intervallata dai rumori delle bombe che esplodono, quelli dei campanacci che preavvisano l’arrivo del nemico austriaco, il rumore dovuto agli scavi che il nemico sta effettuando sotto la trincea dove sono stanziati i nostri italiani. E a chiudere il tutto il pezzo finale di Paolo Fresu.
Olmi non ci mostra la voglia di vittoria dei soldati, i piani studiati per sconfiggere il nemico, da un taglio malinconico ad essi, che non hanno nessuna motivazione, nessuna voglia di combattere una guerra che non sentono loro.
Alcuni durante il film guardano in macchina per rendere protagonisti noi, noi pubblico, che quella guerra non l’abbiamo vissuta e che non dobbiamo dimenticare quell’inutile orrore, perchè altrimenti, quei morti, verrano lasciati li, e quando in Primavera, torneranno i prati, nessuno si ricorderà più di loro.
Molto buona la fotografia a cura di Fabio Olmi, con quei paesaggi innevati che ben descrivono la desolazione e la malinconia che il film ed i suoi protagonisti ci trasmettono.
Un film realizzato in maniera più che buona anche se minimalista, senza effetti speciali, senza azione, senza grandi dialoghi, (il titolo in minuscolo ne è un’altra prova), una pellicola ridotta all’essenziale, come all’essenziale è ridotta la trincea, con solo il minimo occorrente necessario ai soldati e nulla più. I colori freddi dominano, gli unici ad uscire fuori sono il rosso del poco sangue mostrato ed il giallo delle candele che piano piano si consumano, come l’animo e la forza di volontà dei soldati.
Una ballata malinconica su una guerra inutile, minimalista, asfissiante e logoro come la trincea, simbolo del primo conflitto mondiale.
Un film per ricordare, per non dimenticare, e quindi, che deve essere assolutamente visto.
PROMOSSO.
La pellicola è stata proiettata per la prima volta a Roma il 4 novembre davanti al Capo dello Stato e ad altre cariche illustri, ed in concomitanza con altri 100 paesi del mondo compresi i luoghi dove si trovano attualmente i contingenti italiani per le missioni all’estero.
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