Travolti dalla cicogna: la recensione di Marita Toniolo

Quando comincia una storia? Al primo appuntamento al primo bacio? Al primo “ti amo”?
Di certo quella tra Nicolas e Barbara parte nel migliore dei modi, con un gioco di di seduzione squisitamente cinefilo, lanciato da lei che lo istiga presentandosi alla cassa con il dvd di In the Mood for Love, a cui lui risponde con le fascette di altre pellicole romantiche. Sono belli, giovani, spensierati: escono insieme, giocano, si innamorano, si mettono insieme. Poi un giorno, in un attimo di passione, decidono di avere un figlio.
Barbara ha un’immagine idealizzata della maternità, illustrata dal regista Rémi Besançon attraverso una prima parte del film fatta di sogni dal gusto molto pop e colorato, un po’ tipici di un certo gusto alla francese (già parecchio visto), ma si scontrerà presto con una verità a cui non era preparata e che viene raccontata con una ben più realistica macchina a mano.
Laureanda brillante in filosofia, si vedrà soffiare il posto d’assistente dal secchione rampante di turno. Oltre a tutti i i tipici disturbi del parto a cui non era preparata, si troverà in conflitto con la madre individualista (per cui la gravidanza è un errore che manderà in fumo i suoi progetti scolastici), con la sorella invidiosa, con la suocera legata morbosamente al figlio, con il compagno tutto preso dalla playstation e dagli amici (fino all’inevitabile separazione…).

Il progressivo scivolamento dai toni leggeri e ironici della prima parte lungo una china che trasforma il film in una riflessione molto profonda sulla solitudine che diverse donne affrontano con la maternità e sul divario che spesso si crea tra i partner in seguito al parto è sicuramente molto ben raccontato, anche fin troppo, con una focalizzazione quasi ombelicale del disagio. Un cambio di registro così radicale che disorienta lo spettatore, sempre più sprofondato in tutte le riflessioni pessimiste ad alta voce della protagonista, che tradiscono la forte matrice letteraria del film (tratto dal romanzo Un lieto evento di Eliette Abecassis).
Specie per il pubblico femminile l’immersione nel corpo di Barbara è quasi totale. Il film diventa una sorta di esperienza “ormonale” molto forte per le donne, che sicuramente incuriosirà ma non entusiasmerà anche l’universo maschile descritto come superficiale e immaturo per larga parte del film. Di tutta la cinematografia che ha raccontato la gravidanza fin qui: da Nove mesi a Molto incinta, fino ad arrivare all’imminente Che cosa aspettarsi quando si aspetta, è la descrizione più accurata apparsa sullo schermo della metamorfosi psicofisica affrontata dalle donne. Le riflessioni ad alta voce della protagonista e la sua depressione, però, appesantiscono troppo il film non facendogli trovare la giusta dimensione da dramedy .
Un’occasione sprecata, considerate la bravura e la bellezza della protagonista, Luois Bourgoin, già nota per Adèle e l’enigma del faraone, ben affiancata dal bravo partner Pio Marmai (L’amore dura tre anni).

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Mi piace: i due giovani protagonisti molto bravi. Il realismo accurato e partecipe con cui viene descritta la maternità.

Non mi piace: la presenza ridondante della voce fuori campo che illustra i pensieri della protagonista.

Consigliato a chi: vuole approfondire le tematiche legate al parto e alla nascita. A chi è non è in cerca della solita commedia americana.

 VOTO: 2/5

 

 

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