Tron Legacy: la recensione di Elisa

Tron Legacy (2010) è una straordinaria esperienza sensoriale che coinvolge almeno due – forse tre – dei nostri sensi: la vista, con gli scorci epici della Rete (“the Grid”); l’udito grazie alla perfetta colonna sonora dei Daft Punk, magistralmente integrata nel ritmo del film e con un sound metallico e cristallino che si imprime nella memoria uditiva dello spettatore; e probabilmente anche il tatto, che si sarà trovato sollecitato dalla forza illusionistica del 3D, se si considera che già in 2D il film trascina letteralmente lo spettatore nei meandri della Rete.

L’atmosfera dark e psichedelica che domina il film è uno degli elementi che di Tron mi ha colpito maggiormente. L’oscurità predomina per buona parte del film: è nel buio della notte di una città irreale che Sam Flynn – “The Son of Flynn” come recita una delle tracce dei Daft Punk – agisce per contrastare la poco lungimirante gestione dell’azienda di suo padre Kevin Flynn, scomparso in circostanze misteriose quando lui era solo un bambino; e sempre per le strade futuristiche ed immateriali della Rete Sam, alla ricerca del padre, si scontra con CLU, il programma frutto del genio di Flynn che ha dichiarato guerra ai Creativi (definiti col termine “User”), in un’atmosfera minimalista dove predominano il bianco e il nero su superfici tanto lucide e levigate da sfiorare l’incorporeità. Molto suggestivo è l’esordio del film con la fuga di Sam, perfettamente in armonia dal punto si vista ritmico con “The Son Of Flynn” dei Daft Punk, che scivola via sulla sua moto per le strade e si snoda agilmente tra ostacoli e sottopassaggi urbani, preludendo alla gara di moto nell’arena utopistica e letale della Rete.

All’oscurità del mondo teoricamente fantascientifico – ma poi resosi concreto e piegatosi alla bieca volontà di CLU – frutto della mente di Flynn, si contrappone la purezza del bianco nelle vesti di un ormai mistico e ascetico Kevin Flynn (interpretato da un ottimo Jeff Bridges), costretto al di fuori della Rete in una prigione di cristallo e luce in compagnia della ISO Quorra. In questo contesto affiora il tema della perfezione che si declina su più fronti: ad essa aspira la mente creativa e visionaria di Flynn e nella figura di Quorra la perfezione si materializza in purezza, bellezza e incorruttibilità. Ma, come arriva a constatare lo stesso Flynn, la perfezione in sostanza non esiste perché afferente alla categoria dell’utopia. Questa nuova consapevolezza di Kevin Flynn non è lontana da quella che matura John Smith (interpretato da Colin Farrell) alla fine di The new world (2005) di Terrence Malick, in cui il capitano Smith realizza di non aver trovato stabilmente le “sue” Indie, bensì di averle superate una volta anteposta la propria sete di scoperta e conoscenza alla donna che ama. Allo stesso modo, anche in Tron si parla di un uomo, Kevin Flynn, proteso verso l’ignoto alla ricerca della felicità e della perfezione che, in realtà, è proprio davanti a lui, nella figura di Sam, come affermerà lo stesso Kevin Flynn.

E dopo l’abisso della tenebra e la perfezione mistica e adamantina della luce emessa dal portale della Rete, non resta che l’alba del ritorno al mondo reale, con la luce forse imperfetta ma quantomeno tangibile del primo sole del mattino che scalda il viso di Quorra.

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